Il 9 maggio è stato l’anniversario della morte di Peppino Impastato, un eroe del nostro tempo.

Qualche settimana fa, come ogni volta che ritorno in Sicilia per le feste, mi ritrovo in attesa di un pullman che dall’aeroporto di Catania mi porterà ad Agrigento. Sono le 10. “Un biglietto per Agrigento. Scusi, a che ora è il prossimo?” “Ora! Alle 11.10”. Verso le 11.20, arriva il pullman da Catania direzione Agrigento. E come ogni venerdì di Pasqua o 24 Dicembre che Dio manda in Terra, è un pullman quasi pieno. Delle persone in attesa, solo una parte casuale troverà posto. Le altre? Le altre aspetteranno il successivo, quello che “adesso” hanno mandato a chiamare. Accade tutte le volte.

Poi gli arresti per corruzione, attorno all’affare Expo 2015, di personaggi già noti dai tempi di Tangentopoli.

Qualche giorno fa, accompagno un’amica a fare una visita medica presso un ambulatorio pubblico della SUN (Seconda Università di Napoli). Dopo anni di liste d’attesa semestrali, è in funzione il Cup (Centro unico di prenotazione). Una bellezza! Funziona! Solo un mesetto di lista d’attesa e finalmente, eccoci puntuali alle nove presso l’ambulatorio. Ci sono già due signore in attesa. Una donna dell’est armata di uncinetto. Operosa o informata? Entrambe. Poi altre due. Cinque pazienti in tutto. Il turno? Quale turno se c’è un numero di prenotazione? Sì, ma a tutti è stato detto di presentarsi alle nove. La signora straniera dice che non cominciano mai prima delle 10. Prima devono fare il giro in reparto. Intorno alle 12 arrivano infermiere e un medico. Una infermiera esce e chiede qual è l’ordine di arrivo. Della prenotazione del Cup nessuna considerazione.

Dal momento in cui veramente le visite iniziano, la storia è breve, tutti fuori nel giro di mezz’ora, sono quasi le 14.

Qualche considerazione su questioni diverse, sicuramente non equiparabili per gravità, ampiezza e dolore. Tante volte nell’opinione pubblica si alza la richiesta di leggi che riconoscano i bisogni dei cittadini, si chiede il riconoscimento dei propri diritti. Lo si è fatto, lo si fa e lo si farà.

La questione che accomuna le vicende di cui sopra, non è la mancanza di una norma, ma la presenza di una cultura che attraversa il nostro corpo sociale in cui il valore della persona è quasi pari a zero. Se c’è un Cup, perché non tenere conto del numero di prenotazione? Forse hanno attivato il Cup senza tenere conto dei carichi di lavoro dei medici? Probabile. Ma perché non prenotare le visite per le 13, piuttosto che inutilmente alle 9? Quanto valgono le persone, il loro tempo? Niente, ovviamente. E non mi infurio neanche, perché devo fare una visita e non vorrei che il medico che mi controllerà se la prendesse con me. Oppure magari mi incazzo e faccio un casino dovunque, e lo faccio tutte le volte che subisco un sopruso, e le occasioni non mancano, che finisco per indossare la divisa dell’eroe. Perché in fondo questo fa un eroe. Un eroe è uno che per stringente necessità finisce per affrontare un drago, una piovra, una lobby, un mostro ben visibile a tutti e che tutti riconoscono potente e pericoloso.

E qui torno a Peppino impastato, che ha affrontato da eroe la cosa più potente e pericolosa che poteva affrontare, e mi viene complicato unirmi al coro dei ringraziamenti per la sua azione. Piuttosto mi verrebbe da chiedergli scusa, a lui e a tutti quelli spinti nella parte degli eroi. Scusa per il contributo che diamo al mantenimento di condizioni palesemente malfunzionanti, spesso oltre i limiti del delinquenziale; scusa per questa società che ti spinge e ti costringe ad arruolarti come eroe, mentre uno aspirerebbe a formulare una bella idea, ad aprirsi un negozio, avviare un’impresa o magari fare il conduttore radiofonico.

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