Si fa presto a cantar vittoria: il “bugiardino” sempre aggiornato in farmacia introdotto dall’Aifa è l’ennesimo specchietto per le allodole della giostra dei farmaci nostrana. Dal 3 giugno le modifiche apportate al foglietto illustrativo saranno stampate dal farmacista e consegnate direttamente al cliente al momento dell’acquisto. Così si può procedere al totale esaurimento delle scorte delle confezioni con dentro il vecchio stampato. Mentre fino ad ora quintali di medicinali in ottimo stato, che magari scadevano dopo cinque anni, venivano ritirate dagli scaffali delle farmacie di tutta Italia, finivano nel deposito di Pomezia (Roma) per sei mesi e poi risalivano al nord, nei termovalorizzatori di Padova, Filago (Bergamo) e Ravenna, per essere bruciati. Solo perché subentravano piccoli ritocchi del foglietto illustrativo, sufficienti a rendere “dannoso” e invendibile il farmaco: per esempio, la scritta “tenere fuori dalla portata dei bambini” diventa “tenere fuori dalla portata e dalla vista dei bambini”; oppure danno notizia di un nuovo effetto collaterale, minimo, registrato in un paziente dall’altra parte del mondo. Risultato: uno spreco gigantesco e un viavai pazzesco di camion su e giù per la penisola.

Vista così la novità introdotta dall’Aifa potrebbe sembrare un successo. Ma non lo è, o lo è in parte se confrontato alla trafila di prima. Perché? La risposta è semplicissima: all’estero da sempre si procede con l’esaurimento delle scorte e le farmacie non hanno l’obbligo di stampare il foglietto illustrativo aggiornato. Quindi niente perdite di tempo, file di attesa, toner finiti o da cambiare, fogli da comprare. “Non ce n’è bisogno se le modifiche sono irrilevanti – dice Fabrizio Gianfrate, professore di Economia sanitaria e farmaceutica -. Nel caso, invece, di variazioni significative e urgenti, che potrebbero mettere in pericolo la salute del paziente, i lotti vengono ritirati subito”. Conclusione: la novità dell’Aifa è abbastanza inutile. Basterebbe infatti smaltire le confezioni senza costi aggiuntivi. “Ci sono altre priorità: al cittadino interessa pagare di meno i farmaci da banco (di fascia C), che in Italia sono i più costosi d’Europa. E il farmacista, che dal 2007 con il decreto Bersani è libero di scontarli, potrebbe investire le sue risorse abbassando i prezzi”. Che invece continuano a rimanere salati. “L’Antitrust – avvisa il professore – deve intensificare i controlli sui cartelli tra le industrie nel nostro Paese”.

Non si fa niente per niente. L’aggiornamento istantaneo dello stampato è gestito da un nuovo software, indipendente dal sistema di gestione informatica della farmacia. Come spiega Farmacista33, all’inizio a occuparsi del servizio doveva essere una società creata ad hoc, Digitfarma, sotto l’ombrello di Federfarma. Alla fine, però, il progetto è stato affidato a Profarma, realtà già esistente. Il succo non cambia: per metterlo in piedi e farlo funzionare servono soldi e risorse umane. Franco Muschietti, presidente di Farmacieunite, nell’intervista di Farmacista33 va giù secco: “Viene caricato sulle spalle del farmacista un compito in più che comporta un aggravio, non solo burocratico ma anche economico e di tempo per le giuste spiegazioni da dare al paziente che si trova di fronte all’ennesimo cambiamento proprio quando viaggiamo verso innovazioni che sottraggono carta, e non la producono, come la ricetta dematerializzata”.

C’è invece chi è al settimo cielo: Andrea Mandelli, presidente Fofi (Federazione Ordini farmacisti italiani) e senatore di Forza Italia. È lui l’autore dell’emendamento all’articolo 44 del Decreto del Fare che prevede il “bugiardino” sempre aggiornato in farmacia. “Siamo di fronte a un grosso passo in avanti per il paziente – ha detto in un’intervista a Quotidianosanita.it – ma è anche un passo in avanti per l’AIfa, perché viene fatta una cosa in cui siamo primi in Europa” e non è un vanto, lo abbiamo spiegato sopra. Poi una specie di mea culpa: “C’è anche un vantaggio economico nel momento in cui la crisi morde perché aiutiamo la filiera a essere più competitiva risparmiando dei soldi che venivano buttati senza motivo”. Ma allora perché pensarci solo adesso dopo aver mandato in fumo milioni di blister perfetti? Mandelli non convince quando dice che “le soluzioni apparentemente più immediate non vengono viste subito o vengono dimenticate”. Ecco perché.

Il primo tentativo di fermare questa fabbrica di sprechi parte da Livia Turco, nel 2006, quando è ministro della Salute. Il comma 2 del decreto legislativo 219/2006 prevede un accordo tra l’Aifa e le associazioni di categoria per poter dare al cliente il “bugiardino” nuovo quando compra il farmaco. Ma l’intesa non arriva mai e il decreto rimane in sospeso. Non succede più niente fino al 2012 quando il ministro Renato Balduzzi nella prima versione del decreto Sanità (articolo 16 del capitolo farmaci) autorizza la vendita del medicinale fino a esaurimento scorte, a patto che si consegni al paziente il foglietto corretto. In poche ore queste righe sulle carte ufficiali spariscono. Chi vuole mandare all’aria l’art. 16? Il ministro, interpellato più volte, tace.

Intanto, due volte all’anno, arrivano i camion di Assinde, la società privata, nata nel 1981, che gestisce in tutta Italia il ritiro e lo smaltimento dei medicinali scaduti o resi invendibili per provvedimento. Il suo azionista più grande è Farmindustria, cioè le stesse ditte farmaceutiche che producono e vendono i farmaci che alla fine, secondo quanto riferisce il direttore Francesco Ascone, diventano cenere. Nei centri di distribuzione, dove il giro di medicinali è più grosso, c’è addirittura un addetto stipendiato solo per la lettura quotidiana dei ritiri e la pulizia del magazzino da blister e flaconi. «Arrivano oltre una ventina di disposizioni di ritiro al giorno» fanno sapere dall’Emilia Romagna.

Va avanti così da anni e ultimamente i numeri sono da record. Nel 2003 si contano oltre 800 mila pezzi resi per provvedimento. Niente a confronto dei 4 milioni di pezzi di sei anni dopo. Poi a tutto gas: 5 milioni nel 2010 e 10,3 milioni nel 2012. Assinde si sobbarca il servizio, pagando 70 centesimi di euro a confezione più un correttivo pari all’1,3 per cento sul valore di indennizzo. A carico di farmacisti e grossisti, invece, c’è il costo del trasporto: 75 euro per i primi; 150 euro per 40 pacchi (più quattro euro per ogni pacco aggiunto) per i secondi.

Dagli inceneritori non hanno mai dato spiegazioni. Nessuno sa che fine hanno fatto in tutti questi anni i farmaci ritirati e stoccati a Pomezia. 

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