La ministra della Funzione pubblica, Marianna Madia, si appresta a ricevere dal presidente del Consiglio le deleghe per l’Agenda digitale e la vigilanza sull’Agenzia per l’Italia digitale (AgId), cioè tutto il complesso delle funzioni per la digitalizzazione del rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini che, secondo il suo predecessore Francesco Caio (oggi ad di Poste italiane), è “la vera riforma dello Stato” e vale “non meno di 8-10 miliardi l’anno di minori costi della macchina pubblica” solo dando attuazione a fatturazione, fascicolo sanitario e pagamenti elettronici.

Il primo problema di cui dovrà occuparsi la ministro Madia, però, non saranno i grandi progetti per l’innovazione della p.a., ma lo stato dell’Agenzia, che più prosaicamente qualcuno chiama carrozzone, finora sottoposta alla vigilanza di palazzo Chigi. Due, all’ingrosso, le cose che non vanno: l’AgId, che è figlia di altri carrozzoni nati negli anni Novanta, nei suoi due anni di vita ha combinato poco e per di più sembra buttare i soldi in modo non proprio commendevole. Solo due cose, potrebbe dire un’ottimista, che però sono tutto quel che si chiede a un’agenzia pubblica: essere utile e non sprecare il denaro dei contribuenti. Quest’ultimo, peraltro, è veramente molto se, come risulta dai documenti, il bilancio 2013 ammonta a 272 milioni di euro: 252 sono un trasferimento straordinario della presidenza del Consiglio, il resto sono più o meno il costo corrente della baracca.

Partiamo dall’attività dell’Agenzia guidata da Agostina Ragosa, direttore generale un tempo a Poste, chiamato ai vertici dall’allora ministro Corrado Passera (ex Poste pure lui). Secondo un dossier elaborato dalla commissione Trasporti della Camera, infatti, l’AgId è decisamente poco produttiva: dei 55 adempimenti previsti dai decreti “Crescita”, “Crescita 2.0” e “ del Fare” a inizio marzo ne erano stati realizzati solo 17. Di più: dei “38 adempimenti non ancora adottati – scrivono i tecnici di Montecitorio – in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere”. Non che sia una sorpresa: “La precedente ricognizione in materia, con dati aggiornati al 21 maggio 2013, evidenziava che dei 47 adempimenti considerati solo 4 erano stati adottati (per gli adempimenti non ancora adottati in 19 casi risultava già scaduto il termine per provvedere)”. La situazione non dovrebbe essere migliorata ultimamente visto che, tra i rilievi di aprile dei revisori dei conti, c’è anche quello non secondario che l’AgId non ha rispettato i termini per presentare il bilancio di previsione e il rendiconto generale e si trova, dunque, in una situazione di sostanziale non operatività coatta.

Se si passa alla questione soldi, il panorama non migliora. A palazzo Chigi, infatti, è arrivata una lettera della Ragioneria generale dello Stato spedita il 10 aprile in cui si segnalano una serie di irregolarità interne all’Agenzia per l’Italia digitale: un concorso e relative assunzioni portate a termine nonostante i revisori ne avessero chiesto il blocco; l’assunzione di un dirigente a dispetto di “inidoneità della documentazione” e dei soliti rilievi giuridici dei revisori; “operazioni di affidamento diretto di forniture e attività che sembrerebbero effettuate in violazione delle procedure di evidenza pubblica” (tradotto: appalti senza gara). Conclusione della Ragioneria: “Si prega di voler far conoscere le determinazioni che codesta amministrazione vigilante vorrà assumere in merito” (tradotto: fate qualcosa). 

Nel bilancio 2013, peraltro, si leggono cose magari legittime, ma poco piacevoli: al direttore generale dell’Agenzia Ragosa viene in sostanza assegnato il massimo stipendio possibile all’epoca (311mila euro, il tetto per gli statali che Mario Monti fissò al livello della retribuzione del primo presidente di Cassazione). Anche i due dirigenti a tempo determinato – di cui dal sito dell’Agenzia digitale non è possibile sapere il nome – sono sulle stesse cifre: nel 2013 si sono divisi infatti 595mila euro. Non a questi livelli, ma se la passano bene pure i cinque dirigenti a tempo indeterminato: oltre centomila euro l’anno ciascuno per 525mila euro in tutto. I soli vertici dell’AgId, insomma, vale a dire 8 persone, costano un milione e mezzo. Il resto del personale – il cui numero non è riportato né nei bilanci, né sul sito – pesa invece circa 6 milioni di euro l’anno. Nel 2013, poi, l’Agid ha speso oltre un milione l’anno in affitti (per sei mesi, a giugno si è trasferita nella sede dell’Eur messa a disposizione dal Demanio), 128mila euro in acquisto di beni e servizi, 311mila euro in attività di manutenzione, 204mila per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti e 150mila in “spese di trasporto, spedizioni col corriere e facchinaggio”. Che per una struttura che dovrebbe lavorare sulla smaterializzazione della P.A. non è niente male.

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