Prima l’inganno. Poi la beffa. Quando Unicredit chiese la restituzione di quei dodici milioni di euro, al Tribunale di Bari nessuno batté ciglio. Era il 4 giugno 2012, la società Divania era ormai fallita, e la banca assicurava: questi 12 milioni li abbiamo prestati per l’attività d’impresa. E soprattutto: “Non sono compresi rapporti riconducibili a operazioni sui derivati”. Fu così che Unicredit venne ammessa al passivo della Divania, società che fino a pochi anni prima, dalla zona industriale di Bari, esportava divani in mezzo mondo e occupava ben 430 persone. Il punto è che Unicredit disse il falso. Per la precisione – come scrive il giudice fallimentare Anna De Simone – “consapevolmente o meno” Unicredit ha “indotto in errore l’ufficio fallimentare” di Bari “poiché da un lato, contrariamente a quanto affermato, la pretesa in oggetto non è stata depurata dalla movimentazione dei derivati e, dall’altro, atteso quanto sostenuto dal signor Parisi, le operazioni di finanziamento anticipi estero non sarebbero mai state giustificate da ragioni di natura commerciale”. Il “signor Parisi”, che di nome fa Saverio, è il proprietario della Divania. E non si tratta certo di un dettaglio. È stato lui a smontare la richiesta di Unicredit, tanto da spingere il tribunale a chiedere di revocare l’ammissione di Unicredit al passivo, ed è soltanto un tassello del mosaico questa storia.

Un tassello che potrebbe portare la procura di Bari ad aprire un nuovo fascicolo su Unicredit, poiché i curatori fallimentari Michele Castellano, Dora Rizzi e Luigi Pansini, hanno esposto la vicenda al pm Isabella Ginefra che, già da tempo, si occupa dei rapporti tra Unicredit e Divania. La pm Ginefra è infatti titolare del fascicolo che vede 14 funzionari accusati di aver causato il “dissesto e il conseguente fallimento” di Divania. Tra gli indagati anche l’ex presidente del consiglio di amministrazione di Unicredit Alessandro Profumo (ora alla guida di Mps) e l’amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni. L’accusa: concorso in bancarotta fraudolenta. E tutto ruota proprio intorno ai derivati. Secondo l’accusa, infatti, Unicredit ha indotto Parisi a compiere operazioni “rappresentandogli falsamente” che avrebbe sottoscritto ben 203 contratti derivati – tra il 2000 e il 2005 – “a costo zero per la società”. In questo modo poi, sempre secondo l’accusa, Unicredit ha sottratto a Divania ben 15 milioni di euro. Per il settimo produttore mondiale di divani, questo “inganno” è una botta micidiale, che lo porta dritto al fallimento. Ma c’è di più. Altri due funzionari – ha ricostruito il nucleo tributario della Gdf di Bari – sono accusati di estorsione per aver costretto Parisi a firmare una transazione con la quale rinunciava a ogni futura contestazione.

Dopo l’inganno e dopo il fallimento, per Parisi arriva anche la beffa: Unicredit – che ha sempre rivendicato la correttezza del proprio operato – chiede di accedere al passivo: assicura che nella somma richiesta “non sono comprese voci, importi e rapporti riconducibili a operazioni sui derivati”, scrivono i curatori fallimentari, che inviano la loro relazione alla pm Ginefra. Una relazione durissima. Che parte dalle dichiarazioni dello stesso Parisi: “In realtà – dice l’imprenditore – gran parte dei 12 milioni che formalmente risultano versati da Unicredit a Divania per l’attività d’esportazione sono stati impiegati dalla banca per chiudere artificiosamente e frazionare i finanziamenti per il pagamento dei derivati”. Il consulente del tribunale Riccardo Strada ha verificato che quei 12 milioni sono stati effettivamente usati per ripianare i derivati.

Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 7 maggio 2014

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