Sono andato a rivedermi lo sproloquio di Piero Pelù sul palco del Primo Maggio di Roma con la stessa fame di conoscenza che poteva avere, al posto mio, un boa dopo aver appena inghiottito un condominio di rinoceronti: per quanto quel giorno non mi trovassi (fortuna mia) sul luogo del delitto, le mie aspettative hanno trovato conferma. Faccio per dire.

Messi da parte i 30-40 secondi di (finta) passione, sottacendo pure sulla banalità imbarazzante di una filippica scritta addirittura su foglio (come a dover ricordare, a fatica, la propria pochezza), rimane lui: Piero Pelù, appunto. Uno degli autori più importanti (sono serio) degli ultimi 25 anni di musica italiana che, reunion dei Litfiba a parte, non ne azzecca (artisticamente parlando) da tempo immemore una neanche sotto morfina: ed io, per quel che conta e importa, non me la sento di schierarmi dalla sua parte. Voglio sia stra-chiaro.

Prima di esprimere vicinanza e solidarietà indistinte ed immotivate a Pelù – che certo non è salito su una gru minacciando di buttarsi – dovremmo anzitutto chiedere conto “a lui” delle sue posizioni o, meglio ancora, di certe frequentazioni: tanto per cominciare, ha deciso se stare dalla parte della musica o si trova a suo agio a giudicare autori ed interpreti a fianco di J-Ax e Raffaella Carrà? La Carrà è la stessa che quando ha visto palesarsi tra i concorrenti un ragazzo (Simone De Benedetto) evidentemente “effeminato” gli ha rivolto una domanda che neanche la Mussolini avrebbe osato tanto: “Scusa, ma sei maschio?”. E giù risate generali, col buon Pelù che col fare di chi redarguisce il proprio cane dispettoso si rivolge a lei obiettando: “Ma sei una diavola!”. 

Che birboni, in barba all’omofobia in prima serata. 

Ma più di tutto, posto che i soldi per qualcuno non hanno un odore (nonostante sia evidentemente vero il contrario), mi piacerebbe chiedere a Piero Pelù se si sente a posto con la coscienza ad avallare un meccanismo perverso (mi riferisco ora al Primo Maggio) che alle band “nuove” dedica 5 minuti di esibizione caritatevole al prezzo di settimane di contest (web e live) e centinaia di migliaia di accessi regalati: quindi pubblicità, quindi contante. Su ciò che porta tanti poveri cristi ad elemosinare un’apparizione su quel palco potremmo dire tanto e qualcosa diremo: tanto per cominciare, quest’anno uno dei gruppi che ha visto realizzare il tanto agognato sogno di esibirsi in Piazza San Giovanni ha raccolto da Facebook 9500 voti senza avere una pagina Facebook.

Ed è il meno della questione, perché di segnalazioni di irregolarità riguardanti il 1M Festival ne è pieno il web: tra giurie tecniche comparse ad agitare la scure all’ultimo momento (senza che fosse previsto) ed improbabili medie ponderate. Non più tardi dello scorso anno, cosa ben più grave, andando a studiare il regolamento del contest  è venuto fuori che “uploadando” il brano in gara, “a fronte delle spese supportate ” (articolo 29a) i singoli in gara si impegnavano a concedere (all’organizzazione o a società editoriale indicata dalla stessa, quindi non specificata) i diritti di artista/interprete/esecutore nella misura – tenetevi forte – di 12/24: un obbrobrio ingiudicabile, che tra l’altro sembra anche in contrasto con le normative Siae. Queste non prevedono, da parte dell’autore, una cessione (dei propri diritti) superiore al 50%: e, laddove rientrassimo nel novero “del consentito”, c’è comunque da interrogarsi sull’opportunità di una simil richiesta.

Stesso dicasi per l’utilizzo (anche qui totalmente appannaggio e vantaggio dell’organizzazione) delle registrazioni audio/video (articolo 29b) effettuate attraverso tutti i mezzi di comunicazione: se i “diritti di utilizzazione” non si intendono come limitati alla performance da palco, lo sfruttamento delle registrazioni riferibili alla stessa potrebbe confliggere con un contratto discografico (esclusivo) già in essere, nonché creare difficoltà all’artista o alla band nel “reperire” uno stralcio di intesa.

Questo riguarda anche (29c) fotografie, immagini su locandina, poster, manifesti, merchandising: non meno, “al termine dell’iniziativa”, l’organizzazione realizza un cd/dvd compilation (articolo 32) contenenti brani scelti tra quelli composti dai partecipanti al Primo Maggio e, sempre accettando i termini dell’iscrizione, gli stessi “concedono” (anche qui, come se ci fosse alternativa) il nulla osta all’inserimento della canzone (audio o video) all’interno della raccolta, a titolo gratuito, mentre i diritti Drm (quelli cioè esercitati su file multimediali) verranno versati dall’organizzazione (questa entità preponderante e ultraterrena) direttamente alla Siae: che fortuna, direte voi.

 

Anche qui: se è lecito riconoscere ai curatori della rassegna la proprietà del prodotto “originale”, perché non concedere royalties? Non avremo mai una risposta: sta di fatto che forse sulla scia delle polemiche dell’edizione 2013 quest’anno il regolamento è leggermente cambiato, pur rimanendo inalterato in alcuni degli aspetti controversi che gettano una bella secchiata di dubbi sulla credibilità dell’intera rassegna. Mi piacerebbe sentir parlare Piero Pelù di tutto questo: allora sì che potrei perdonargli tutto, anche Toro Loco

Mi piacerebbe non parlasse de Il Teatro degli Orrori come di una “interessante band emergente”: mi basterebbe, in sostanza, leggesse questo articolo e si fermasse, ad un metro dal palco, ponendosi una domanda, possibilmente prima della prossima primavera. “Che faccio stavolta, salgo oppure scendo?”. Ai posteri l’ardua (non credo) sentenza. 

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