Sergio Marchionne alza il tiro sull’ormai mitologico e mai raggiunto obiettivo di produzione di Fiat e Chrysler portandolo da 6 a 7,5 milioni di auto vendute a livello globale nel 2018, contro i 4,4 prodotti nel 2013 e il target di 4,5 per il 2014, a sua volta nettamente ridotto rispetto agli originari 5,9 milioni. E intanto il gruppo italo americano archivia il trimestre con un rosso di 319 milioni di euro contro l’utile di 31 milioni dell’anno prima, complice l’accordo con il sindacato americano Uaw siglato da Chrysler il 21 gennaio (315 milioni di euro al netto dell’impatto fiscale) e la svalutazione del Bolivar Venezuelano. E intanto l’indebitamento netto è salito a 13,24 miliardi di euro dai 10,158 di fine 2013, mentre la liquidità disponibile è scesa da 22,74 a 20,78 miliardi inclusi 3 miliardi di linee di credito non utilizzate. 

Cifre che non impediscono a Marchionne di promettere 55 miliardi di investimenti entro il 2018 con una media annua di 9,5 miliardi e un picco di 11 miliardi nel 2016. Una decina dei quali, secondo i sindacati, sono in arrivo solo in Italia – i cui impianti di Alfa e Maserati diventeranno degli “hub per l’export” come ha sintetizzato Marchionne che si impegna a non licenziare nessuno nella Penisola – e 5 per il rilancio dell’Alfa Romeo. Il tutto senza passare per alcun aumento di capitale o per la vendita di asset o marchi come la Ferrari (“Chi pensa che la venderemo si metta il cuore in pace”), ma anche senza distribuire alcun dividendo ai soci. Anche perché il gruppo a fine quinquennio dovrà realizzare 5 miliardi di utili  su 132 miliardi di ricavi con un debito industriale a 0,5-1 miliardi dopo il picco di 11 miliardi del 2015. Tanto più che secondo il direttore finanziario Richard Palmer nell’arco del piano sarà possibile ripagare i bond di Chrysler e ridurre di conseguenza il debito lordo.

QUANDO LE PERSONE NON LASCIANO I SOGNI FUORI DALLA PORTA – Del resto per il manager italo-canadese  “C’è un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadono. Le fanno accadere, non lasciano i loro sogni fuori la porta ma si lasciano coinvolgere e si assumono rischi. Lasciano il loro segno. E’ un mondo dove ogni giorno e ogni nuova sfida porta con sé l’occasione di creare un futuro migliore”, come ha detto aprendo il suo intervento alla presentazione del piano industriale del gruppo. “Le persone che vivono in questo mondo non vivono mai due volte lo stesso giorno perchè sanno che c’è sempre qualcosa che può essere fatto meglio. Questo mondo eccezionale appartiene a queste persone così come queste persone appartengono a questo mondo. Lo portano alla vita con il loro duro lavoro, gli danno forma con il loro talento – ha proseguito -. Questo potrebbe non essere un mondo perfetto e certamente non facile. Nessuno siede ai margini e il ritmo può essere furioso perché queste persone sono appassionate, molto appassionate, a quello che fanno. Coloro che scelgono di vivere in questo mondo credono che assumersi responsabilità conceda un significato più profondo al loro lavoro e alle loro vite. Benvenuti in questo mondo. Benvenuti a Fiat Chrysler Automobiles”.

VENDITE IN SALITA E NESSUN LICENZIAMENTO IN ITALIA – Un mondo, quello che sogna Marchionne, dove 3,1 milioni di auto della sua casa saranno vendute in Nord America, 1,5 milioni nell’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa), 1,8 milioni in America Latina e 1,1 milioni in Asia Pacifico.  Quanto all’Italia le stime sulle vendite sono attese in aumento di 100mila pezzi per passare dalle 400.000 del 2013 alle 500.000 nel 2018. E la capacità di utilizzazione degli impianti, è la nuova promessa, salirà al 100% in Italia e a livello Emea (contro l’attuale 53 e 66%) dove si prevede una riduzione del 15% dei concessionari Fiat e Alfa entro il 2018, mentre quelli di Jeep aumenteranno del 25 per cento.“Il piano consentirà all’area Emea di raggiungere il 40% dell’export della produzione totale nel 2018″, ha detto Alfredo Altavilla, responsabile per l’area di Fiat e Chrysler. “Siamo impegnati a non mandare nessuno a casa” in Italia, a “non licenziare”, ha detto invece Marchionne precisando, a proposito dei cassintegrati che “quando arriverà l’industrializzazione dei prodotti rientreranno tutti quanti”. In particolare Pomigliano, ha assicurato l’ad, sarà completamente utilizzato e nello stabilimento di Melfi è prevista la produzione di duecentomila Jeep, marchio dal quale sono attese vendite per 1,9 milioni di pezzi entro il 2018, che significa una crescita del 160% rispetto alle 732mila del 2013. E intanto Fiat stima che dalle sinergie di acquisti e engineering dalla collaborazione fra i marchi del gruppo arriveranno 1,5 miliardi di euro di risparmi al 2018. Entro quell’anno il 95% dei volumi totali deriverà da 9 diverse famiglie di piattaforme contro le 12 del 2013.  

E così i ricavi nell’area Nafta (Stati Uniti, Canada e Messico), sempre secondo le attese dei vertici Fiat-Chrysler, saliranno da 46 a 67 miliardi di euro (da 46 miliardi di euro); in America latina da 10 a 15 miliardi; in Asia Pacifico da 5 a 11 miliardi di euro e in Emea da 17 a 26 miliardi. Il gruppo prevede di completare la quotazione a Wall Street entro la fine del 2014, dopo la quale sarà lanciato il primo Yankee bond (un’emissione in dollari di una società straniera destinata al mercato americano).

SINDACATI QUASI TUTTI SODDISFATTI – Applausi, intanto dai  sindacati che hanno firmato il contratto Fiat, rappresentati ad Auburn Hills. “Il piano è positivo”, ha detto Ferdinando Uliano della Fim Cisl, sottolineando che con gli investimenti annunciati dal 2013 al 2018 il gruppo “investirà nel nostro Paese 10 miliardi, quando il governo non riesce neanche a trovare 400 milioni per salvare Alitalia”. La Jeep a Melfi, inoltre, porterà lo stabilimento – aggiunge Uliano – verso la piena occupazione, calcolando che una cifra analoga di 500X saranno prodotte nell’impianto. Soddisfatto anche di Roberto di Maulo della Fimsic: “E’ in linea con le migliore attese, non c’è nessun abbandono dell’Italia”. Da Torino però le tute blu della Cgil non sono d’accordo e chiedono “un confronto specifico che riguardi gli stabilimenti italiani. Il primo che dovrebbe pretenderlo è il governo“, ha detto Federico Bellono, segretario generale della Fiom torinese. “Gli annunci non sono negativi, presuppongono investimenti importanti. Non si tratta di dividersi tra chi si fida e chi no, ma gli impegni devono diventare stringenti ed esigibili per evitare che si ripeta quanto accaduto con piano Fabbrica Italia. Molti degli impegni annunciati si riferiscono al 2018, quattro anni sono tanti”.

“LA MEDIOCRITA’ NON VALE LO SFORZO” – Marchionne, però, taglia corto: “Se il piano è fattibile nel merito allora un aumento di capitale non è necessario. Il piano offre chiarezza ed è esecutivo a livello operativo: è realizzabile“. Anche perché la società ha già “fatto miracoli” a non decidere aumenti di capitale. “Nel 2018 il gruppo sarà quasi libero da debito. Abbiamo bisogno di grandi economie di scala“, aggiunge sottolineando come il gruppo è “diverso, diverso da qualche anno fa, diverso dai nostri competitor. Siamo radicati nella comunità in cui operiamo”. Quanto alle obiezioni sulla troppa ambizione del piano: “Ce ne faremo una ragione, per usare un’espressione del presidente Renzi che mi piace tanto”. Del resto il piano di Fiat-Chrysler ha uno scopo: “La mediocrità non vale lo sforzo”. Il manager ha infine garantito che resterà alla guida del gruppo fino al 2018 (“voglio assicurarmi che il piano sia realizzato”) sostenendo di poter offrire “milioni di ragioni sul perché il rischio è parte del piano” e ricordando che “il piano del 2009 era rischioso”, senza citare le successive revisioni al ribasso. Poi la conclusione con tanto di citazione di Tolstoj: “Si dice che la realtà è quello che esiste o che esiste solo quello che è reale: la realtà vera, che è quello che realmente conosciamo, è quello che non è mai esistito. L’ideale è quello che conosciamo per certo. Ed è solo grazie a questo ideale che conosciamo e questo è perchè l’ideale da solo può guidarci nelle nostre vite, sia individualmente sia collettivamente”.   

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