Ogni lasciata è persa. E Angelino Alfano non vuole perdersi nemmeno un’opportunità di manifestare la sua inettitudine e la sua inconsistenza; così non ha permesso neanche agli episodi di sabato all’Olimpico di sfuggire al suo curriculum di mediocre.  Il Viminale è un ministero vacante sin dall’inizio del governo Letta, quando, sotto le mentite spoglie di creatura del rinnovamento, il fratello brutto di Gigi D’Alessio è diventato lo spaventapasseri degli Interni.
Che gli mancasse il quid eravamo stati avvisati, ma che gli mancasse il quorum necessario di capacità per farne una giusta è stata una sorpresa persino per i più scettici. All’asta degli utili idioti, Angelino è stato venduto come il pezzo più pregiato ed in effetti la soddisfazione dei clienti è stata assoluta.
 
L’impalpabilità politica del predestinato leader della destra moderata fa la sua prima uscita in pubblico appena un mese dopo l’insediamento del governo Letta, in occasione della vicenda Shalabayeva, quando la moglie e la piccola figlia del dissidente kazako Ablyazov vengono rimpatriate in fretta e furia con l’accusa di avere passaporti falsificati (notizia successivamente smentita). Davanti a quello che immediatamente diviene uno scandalo internazionale, il nostro sine-quid dichiara di non essere stato informato di nulla e che tutta l’operazione si è svolta a sua insaputa, ovvero annuncia al mondo intero che il Ministro degli Interni italiano non conta assolutamente niente. Non male come primo proclamo a solo un mese dall’insediamento.
 
Eppure Angelino, da delfino che è, decide di abbandonare l’allevamento berlusconiano e di nuotare da solo in mare aperto, garantendosi così di mantenere una posizione strategica all’interno della maggioranza transformers (sempre sull’orlo del precipizio), che infatti nel frattempo cambia persino premier ma non si azzarda a sostituire lo statista agrigentino al Viminale. 
 
Ed effettivamente Alfano si conferma  nuovamente all’altezza delle aspettative nel governo Renzi, dove, anche stavolta dopo poco più di un mese, brilla in tutto il suo fulgore per aver permesso a Marcello Dell’Utri, a qualche giorno dalla sentenza definitiva della Cassazione che rischiava di vederlo condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, di lasciare comodamente il paese in aereo, nonostante i tentativi di allarme (respinti) della procura generale di Palermo, due di provvedimento restrittivi e uno di  divieto di espatrio.
 
Una manciata di ore dopo, quando Dell’Utri, il cui piano è evidentemente ben più complesso, ha permesso, usando carte di credito e cellulare di essere ‘catturato’, Angelino ha avuto un sussulto d’orgoglio e ha disquisito circa l’eccellenza del lavoro fatto per reperire il latitante, tronfio di un’estradizione che probabilmente non avrà luogo mai. In questo caso, piuttosto, si direbbe che il piano “Mettiamo in salvo Dell’Utri”, ordito con cura e molto sofisticato, sia stato curato in maniera così meticolosa da salvare persino, per quanto possibile, la già boccheggiante reputazione politica del neanche troppo utile idiota.
Infine, per suggellare la latitanza carismatica del povero Alfano, un ultrà napoletano si fa ceralacca della sua ennesima incapacità gestionale.
Angelino, di tutta risposta, propone d’inserire il DASPO (Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) a vita su persone denunciate o condannate per una serie di reati; quello che il pover’uomo ignora è che il DASPO a vita esiste gia’ ma purtroppo non viene applicato.
 
Un po’, come nel suo caso del resto, che Ministro degli Interni lo e’ già ma non se n’e’ accorto neanche lui.
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