Dalla Stazione Spaziale Internazionale e dai satelliti artificiali ormai arrivano continui reportage fotografici sul nostro pianeta e sulle sue condizioni di salute. Tra le tante immagini, a chiunque è sicuramente capitato di vedere le fotografie del nostro pianeta di notte.

Il buio lascia spazio a luci abbaglianti, che si dipanano in venature e si concentrano in agglomerati: segnalibri notturni del progresso dell’umanità.

“Wow” è la reazione più naturale: “Che meraviglia”, “bellissimo”. Purtroppo queste immagini dovrebbero farci dire tutto, tranne “wow”. Se il pianeta fosse un corpo umano, quelle luci sarebbero il suo cancro.

Le luci che infestano le notti rappresentano suolo impermeabilizzato, temperature che si alzano, combustioni inquinanti, sprawling urbano che frammenta il territorio compromettendone la capacità di dare frutti e di rigenerarsi. Le luci rappresentano quella parte di pianeta che, come un parassita, vive esclusivamente grazie a quelle zone dove invece sopravvive ancora “il buio”. Le luci (e la loro tremenda diffusione) sono la testimonianza più lapalissiana dell’insostenibilità che ci ha portato, negli ultimi anni, a consumare più di quanto il pianeta sia in grado di produrre, mandando in deficit il nostro sistema già dal mese di agosto.

Siamo abituati ad associare alla luce sensazioni positive: luce è vita, d’altronde. Ma visto che quando si parla di “sostenibilità” ormai da qualche anno almeno a parole va di moda essere tutti d’accordo, cerchiamo quando è il caso di rivedere questa associazione: se proprio non riusciamo a dire che quelle immagini notturne “fanno schifo”, almeno cerchiamo di avere l’accortezza di riconoscere (e far riconoscere agli altri) che dovrebbero farci paura. Come e più del buio.

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