Chiunque sia stato a Tangeri, anche chi, come me, l’ha vissuta e visitata più di dieci anni fa, non può non ritrovare l’anima della città ne Via dei ladri, il magnifico romanzo di Mathias Énard (pubblicato in Italia da Rizzoli e tradotto da Yasmina Mélaouah).

Tangeri era un vicolo cieco immerso nel buio, un passaggio ostruito dal mare; lo stretto di Gibilterra una spaccatura, un abisso che sbarrava la strada ai nostri sogni; il Nord era un miraggio. Una volta di più ero smarrito, e l’unica terraferma sotto i miei piedi e dietro di me era da un lato l’immensa Africa fino al Capo e a est tutti quei Paesi in fiamme, l’Algeria, la Tunisia, la Libia, l’Egitto, la Palestina, la Siria.”

A Tangeri chi si arrampica sugli scogli di fronte allo Stretto può seguire il viavai dei traghetti che fanno la spola con la Spagna. Su quegli scogli Bassam sogna di andarsene. Lakhdar no, l’Europa non lo attira: e invece sarà proprio lui a partire. Il suo viaggio comincia a diciassette anni, quando il padre, musulmano ortodosso, lo sorprende a letto con una cugina e lo caccia di casa. Da lì in poi la sua vita è vagabonda, ormai Lakhdar può fare affidamento solo su se stesso. Sfiora un gruppo di estremisti islamici in cui l’amico Bassam rimarrà impigliato, passa da un lavoro all’altro e, assoldato da una compagnia di traghetti, approda in Spagna. Conosce i bassifondi e legge gialli, cerca il sesso in un bordello e brucia d’amore per una studentessa spagnola. Ovunque la violenza pervade l’aria, pare inevitabile che prima o poi Lakhdar ne sia contagiato. Dalla Primavera araba alla Spagna degli indignati, ancora una volta Énard fa sentire la sua voce autentica e irriducibile.

Struggente la voce narrante, il ventenne marocchino Lakhdar, che nella sua odissea tra due continenti, in fondo, nonostante l’amore, la solidarietà e i colpi di fortuna (e non solo di sfortuna) di quello che lui chiama il destino, rimarrà una persona sola, calpestata, travolta, devastata da violenze indicibili, violenze soprattutto spirituali. Suicidi, botte, sporcizia, subdoli sceicchi invasati, psicopatici fossilizzati da video di morte, illusi rivoltosi nel caos dell’Occidente, echi di Primavere arabe che passano come un aroma non troppo intenso per tutti quegli uomini e quelle donne concentrati a sopravvivere prima ancora di provare a ribellarsi all’ingiustizia dei governi.

Gli uomini sono cani, si strusciano fra loro nella miseria, si rotolano nella sporcizia, e non sanno come uscirne, passano le giornate stesi nella polvere e leccarsi il pelo e il sesso, pronti a tutto per il pezzo di carne o l’osso marcio che qualcuno vorrà gettargli, e io sono come loro un essere umano quindi un rifiuto immondo schiavo degli istinti, un cane, un cane che morde quando ha paura e cerca le carezze.”

Un libro secondo me imperdibile per capire le dinamiche di tanti uomini soli, scritto con uno stile asciutto e veloce dove nessuna parola è lasciata al caso. Un viaggio allucinato e reale, una sorta di peregrinazione del tempo della globalizzazione ricordando Ibn Battuta, anche lui di Tangeri, come Lakhdar, viaggiatore di altra epoca, di altre schiavitù, sopraffazioni, ingiustizie, solitudini.

Mathias Énard è nato a Niort, in Francia, nel 1972. Prima di trasferirsi a Barcellona è vissuto a Beirut, Damasco, Tunisi, Venezia e Roma. Ha studiato il persiano e l’arabo e parla correntemente l’italiano. Tra i suoi romanzi Rizzoli ha pubblicato Zona e Parlami di battaglie, di re e di elefanti, che in Francia ha vinto il Prix Goncourt des lycéens.

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