Fininvest smentisce la possibilità di cessione della maggioranza, eppure il futuro del Milan si tinge sempre più d’orientale. Perché questa volta il prezzo è giusto: 500 milioni per prendersi il 51 per cento del club da 28 anni nelle mani di Silvio Berlusconi, al quale spetterà la decisione finale. Una valutazione di molto superiore a quella ipotizzata lo scorso mese da Bloomberg che aveva annunciato la messa in vendita dei rossoneri per una cifra attorno ai 600 milioni di euro. Si sale, invece, e di molto. Anche perché al momento la società fa gola a più persone.

Barbara Berlusconi è in contatto con Zong Quinghou, il secondo uomo più ricco di Cina, che parrebbe pronto a rilanciare l’offerta presentata dal magnate di Singapore Peter Lim. La chiave di Lim per avere accesso alla sala comandi del Milan, invece, è stato probabilmente Adriano Galliani, che ben conosce il re dei procuratori Jorge Mendes, ‘amico’ e non solo del miliardario interessato all’acquisto. E qui comincia un’altra storia, abbastanza contorta. Peter Lim, 60 anni, è il classico self made man che da anni cerca di entrare nel mondo del calcio in prima persona o come finanziatore. E’ attualmente tra i quaranta ‘Paperoni’ di Singapore, tra i 760 più ricchi del pianeta, e la sua fortuna se l’è costruita dal nulla.

Figlio di un pescivendolo, per pagarsi gli studi lavora come taxista e cameriere. Dopo la laurea diventa in breve tempo il ‘re dei broker’ per conto di facoltosi indonesiani. Riesce così ad accumulare una fortuna personale che gli consente d’investire. E Lim non sbaglia. Compra la Wilmar International, azienda che produce olio di palma, per 10 milioni di dollari. Un’affarone, visto che oggi la Wimar ne vale 700. Anche a discapito dell’ambiente, secondo Greenpeace e Newsweek. La ong ambientalista ha puntato il dito per anni contro la multinazionale di Lim a causa della deforestazione provocata dai suoi fornitori che avrebbe messo a rischio l’ecosistema nel quale vive la tigre di Sumatra.

Newsweek è andata oltre nel 2012 e ha inserito la Wilmar all’ultimo posto del Green Rankings, una classifica che mette a fuoco le performance ambientali di 500 tra le più grosse aziende al mondo. Quella di Lim è riuscita a far peggio di Monsanto e Coal India, tanto che il fondo pensioni del governo norvegese – uno dei più accorti al mondo – l’ha escluso dai suoi investimenti. Tra cliniche private e McLaren Automotive, il magnate ha investito e diversificato i suoi affari, ma è da anni alla ricerca di un posto al sole nel mondo del calcio. L’ultima tappa è il fallito assalto al Valencia, trainato sempre da Jorge Mendes. La prima, indiretta, fu l’apertura di una catena di locali marchiati Manchester United, squadra della quale è grande tifoso.

In mezzo un tentativo con i Glasgow Rangers, uno a Middlesbrough e uno per un pacchetto azionario dell’Atletico Madrid. Tutti falliti ma serviti per rinsaldare l’amicizia con Mendes, re dei procuratori a livello mondiale. E infatti i due non sono più solo amici. Come ricostruito negli scorsi mesi dai giornali spagnoli, Lim sarebbe tra i finanziatori della Quality Sports Investments che si occupa di acquisto e vendita dei cartellini dei calciatori con sede nell’isola di Jersey, paradiso fiscale che conta più di 30mila società off-shore. Chi c’è alla testa della QSI? Jorge Mendes, naturalmente, e Peter Kenyon, ex dirigente di Chelsea e Manchester United. Due che di colpacci nel mondo del calcio ne hanno messi a segno parecchi. Chissà se questa volta toccherà al loro amico d’affari Peter Lim.

Twitter: @AndreaTundo1

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