Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno stretto un accordo per la creazione di una piccola bad bank – una struttura a cui trasferire i crediti difficili da riscuotere – con la società di consulenza Alvarez & Marsal e il fondo di investimento newyorkese Kohlberg Kravis Roberts (Kkr). La notizia, anticipata dal Financial Times, è stata confermata dagli istituti con una nota che informa della firma di un “memorandum of understanding (protocollo di intesa, ndr) per sviluppare e realizzare insieme una soluzione innovativa finalizzata a ottimizzare le performance e massimizzare il valore di un selezionato portafoglio di crediti in ristrutturazione attraverso la gestione attiva degli asset e l’apporto di nuove risorse finanziare”. “La formazione e l’operatività della partnership sono ancora oggetto di discussione e verifica tra le parti”. Il valore complessivo del portafoglio che sarà conferito a nuova società creata ad hoc – ma i crediti resteranno nei bilanci degli istituti – dovrebbe essere vicino ai 2 miliardi di euro. Si tratterà di crediti vantati dalle due banche nei confronti di una decina di grandi aziende industriali e dei servizi (i nomi devono ancora essere definiti), che verranno risanate e riportate alla redditività attraverso piani di ristrutturazione che potranno comprendere cessioni, ricapitalizzazioni e avvicendamenti del management. A condurre le operazioni saranno i consulenti di Alvarez & Marsal, specializzata in questo tipo di interventi. La società e il fondo Kkr apporteranno anche capitali freschi per almeno un centinaio di milioni. 

Da tempo i due istituti stanno valutando la cessione di crediti dubbi a una società comune, in modo da alleggerire i bilanci. L’11 marzo, in sede di presentazione dei conti 2013 (14 miliardi di perdite proprio in seguito alle “pulizie contabili”) e del piano strategico al 2018, Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, aveva anzi già annunciato la “segregazione” in un portafoglio autonomo di 87 miliardi di crediti, due terzi dei quali deteriorati, con l’obiettivo di “ridurne il peso del 60% al 2018”. Nel dicembre scorso, poi, l’istituto aveva ceduto al fondo Cerberus un “pacchetto” di crediti non garantiti (legati a contratti di credito al consumo e prestiti personali) del valore di 950 milioni di euro e al fondo AnaCap un altro fardello dall’ammontare nominale di 700 milioni. E anche Intesa, che ha chiuso il 2013 in rosso per 4,55 miliardi ed è gravata da circa 55 miliardi di sofferenze, ne ha impacchettati 46 in un portafoglio chiuso che dovrebbe essere tagliato della metà nei prossimi quattro anni. Lo stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, si è detto favorevole a una “bad bank di sistema”, soprattutto in un momento in cui, in vista dell’esame Bce, le banche hanno necessità di rafforzare il capitale e migliorare la qualità degli attivi.

Una recente analisi del Centro studi Unimpresa su dati della Banca d’Italia ha mostrato che il peso delle sofferenze bancarie – arrivate, in febbraio, a superare i 162 miliardi di euro complessivi – è legato soprattutto ai grandi prestiti che difficilmente vengono rimborsati: su tre rate non onorate, due sono relative a crediti di alto importo. Il 66,1% del totale dei crediti difficili da riscuotere (107 miliardi) si riferisce a finanziamenti superiori a 500mila euro, mentre il 33,9% (54,9 miliardi) fa capo a crediti compresi tra i 250mila e i 500mila euro. In una platea di oltre 1,2 milioni di clienti in ritardo sui pagamenti, su appena 457 soggetti pesano sofferenze per 20,3 miliardi. Detto in altri termini, oltre il 66% dei crediti dubbi si riferiscono a una piccolissima percentuale di debitori: il 3,9% del totale.

 

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