Non è bastato il divieto di avvicinamento alla casa dell’ex fidanzata, che gli era stato imposto dopo essere stato scarcerato per decorrenza dei termini della custodia cautelare. Né il pensiero delle condizioni della ragazza, madre di suo figlio, dopo l’aggressione del maggio scorso, quando l’aveva riempita di calci e pugni, distruggendole la milza e riducendola quasi in fin di vita. Ieri Antonio Caliendo, 27 anni, di Casal di Principe, è stato di nuovo arrestato – braccialetto elettronico e obbligo di rimanere in casa senza contatti con nessuno – per aver nuovamente percosso Rosaria Aprea, che continuava a molestare anche via sms.

Una storia di violenza, quella di Rosaria (finita per la prima volta in ospedale nel 2011, mentre partecipava a Pesaro a un concorso di bellezza), in cui sono presenti tutti gli elementi di un copione che si svolge identico in centinaia di altri casi. L’ambivalenza delle stesse vittime, visto che mentre da un lato l’ex miss ha sempre ammesso la gelosia e violenza dell’uomo, dall’altro solo in un caso ha presentato denuncia di lesioni nei suoi confronti e pochi giorni dopo l’aggressione, attraverso la voce del suo legale Carmen Posillipo (che poi aveva deciso di rinunciare al caso) ha fatto sapere di “amarlo ancora e di essere dispiaciuta per quello che sta passando”. “Purtroppo c’è un incastro patologico tra chi colpisce e le vittime, spesso vulnerabili e sottomesse”, spiega Chiara Gambino, psicoterapeuta che da anni si occupa, anche con la sua associazione Donna e Politiche familiari, di prevenzione della violenza sulle donne e di riabilitazione dell’uomo violento.

L’altro tema che emerge dalla vicenda è, infatti, quello della violenza reiterata e della (mancata) terapia dei colpevoli. “Questi uomini che all’esterno appaiono funzionanti hanno in realtà una personalità violenta molto strutturata. Se non vengono sottoposti a una riabilitazione fatta da esperti che lavorino sulla gelosia patologica e sulle paranoie, la recidiva è elevatissima”, spiega la psicoterapeuta, che ha portato avanti un innovativo progetto pilota, Colpire non è virile, rivolto agli uomini (“Nella locandina”, spiega Gambino, “abbiamo inserito domande stimolo come ‘Quando la tua compagna non fa quello che vuoi sale la rabbia? Ti è mai capitato di perdere il controllo?'”). “Con i trattamenti si scopre che nella maggior parte dei casi si tratta di uomini maschilisti che hanno però subito violenza o abbandoni, talmente dipendenti da vivere l’autonomia della compagna come qualcosa di intollerabile. Personalità fragilissime e con scarsissima autostima”.

L’ultimo elemento che il caso di Rosaria Aprea mostra con drammatica evidenza è che le donne, a causa di un iter legale spesso più lungo delle misure cautelative, come l’ordine di protezione, rimangono spesso scoperte. “A volte non possono far altro che pregare di non essere ammazzate, perché manca un sistema di protezione. E, anzi, l’irreversibilità della denuncia prevista dalla legge sul femminicidio, rischia persino di aggravare questo aspetto”, conclude Gambino.

Da Il Fatto Quotidiano del 20 aprile 2014

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