L’iscrizione nel registro dei lobbisti presso le istituzioni europee deve essere obbligatoria. Sembra quasi una richiesta d’aiuto quella degli eurodeputati che, a Strasburgo, hanno approvato a larghissima maggioranza l’appello alla Commissione europea per rendere più vincolanti le regole che tutelano la trasparenza. Ad oggi si stima che solo il 75% di tutte le organizzazioni collegate alle imprese e circa il 60% delle Ong che operano a Bruxelles abbiano messo la propria firma sul registro. Tutte le altre operano nell’anonimato, incontrando periodicamente deputati e alti funzionari e influenzando in questo modo il processo legislativo europeo senza dover rendere conto a nessuno. Il Parlamento europeo cerca così di mettere una pezza alla discussa proposta della Commissione, che vuole mantenere la volontarietà per l’iscrizione al registro dei lobbisti unificato delle istituzioni Ue. Scontata la domanda: a che serve introdurre la registrazione, se non è obbligatoria per esercitare pressioni nei confronti dei policy maker europei? “Un registro più forte e più vincolante è uno strumento essenziale per garantire la trasparenza del processo legislativo europeo ed avere un maggiore controllo delle attività lobbistiche”, ha detto Roberto Gualtieri (Pd), relatore della risoluzione.

I lobbisti a Bruxelles sono un vero e proprio esercito: secondo l’associazione Corporate Europe Observatory, che monitora da vicino la loro azione, soltanto la grande finanza ne impiega nella “capitale d’Europa” 1.700, un rapporto di uno a quattro rispetto ai funzionari Ue che si occupano di questioni finanziarie (i numeri sono nello studio The fire power of the financial lobby pubblicato il 9 aprile). Parliamo di 120 milioni di euro annui spesi a fronte dei quattro impiegati, nel complesso, da organizzazioni sindacali, associazioni dei consumatori e Ong. Insomma, trenta volte tanto. Il paradosso è che, sempre secondo l’associazione, colossi bancari come Goldman Sachs, UBS, HSBC, Banco Santander e RBS non risultano registrati. Ecco perché la proposta approvata a Strasburgo chiede l’obbligatorietà di iscrizione entro il 2016 e prevede una serie di “incentivi” per i lobbisti registrati: sarebbero garantiti solo a loro l’accesso al Parlamento, l’autorizzazione a organizzare eventi, la partecipazione come oratori alle audizioni pubbliche e la possibilità di chiedere il patrocinio del Parlamento per le proprie iniziative.

Naturalmente l’attività di lobby non è “sbagliata” o “pericolosa” a priori. Rientrano in questa categoria anche le associazioni ambientaliste come Greenpeace, umanitarie come Amnesty International e di categoria come i sindacati. In secondo luogo, la loro consulenza ed esperienza è indispensabile a Parlamento e Commissione, spesso a corto di personale e conoscenze specifiche, per fare il proprio lavoro legislativo. Ciò non toglie, sostengono i deputati, che queste consultazioni dovrebbero avvenire in modo trasparente. Da qui il bisogno di un registro pubblico. “Il continuo boicottaggio da parte di molte grandi banche e aziende che esercitano lobby nei confronti delle istituzioni Ue mostra come l’approccio volontario abbia fallito”, ha sottolineato Olivier Hoedeman di Corporate Europe Observatory. “È arrivato il momento di usare il pugno duro nei confronti delle lobby segrete”. Il momento a cavallo della legislatura è cruciale, tanto che proprio in questi giorni è stata lanciata la campagna “Politics for People” che chiede ai candidati alle prossime elezioni europee un impegno a continuare a far pressione nei confronti della Commissione europea, l’istituzione che sulla materia avrà l’ultima parola.

 

Twitter @AlessioPisano

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