Capita che Jovanotti, umile tra gli umili, canti il Cantico delle creature sul sagrato della Basilica di San Francesco ad Assisi, che da sempre è il luogo dell’accoglienza, dell’umiltà e della concordia.

Tremila studenti a guardarlo. Giubilo.

Vediamo però la cosa più da vicino. Si può considerare quello di Jovanotti un omaggio all’umiltà di Francesco? Cos’è l’umiltà? Umile è un maestro zen che sbaglia di proposito il centro di un bersaglio con arco e freccia, chi volutamente cede il passo a un ospite in segno d’accettazione, la celebrazione di un principio. L’atto di umiltà non lo compie chi è privo di grazia o l’incompetente, che per propria natura la realizzano di fatto, ma chi si spoglia di grazia e competenza, ridimensionando il proprio ego con consapevole purezza. Sempre.

Francesco si spogliò volutamente delle proprie ricchezze terrene: lì sta il perno concettuale rivoluzionario.

E allora, può il video qui sopra essere considerato un atto di umiltà? Una celebrazione al luogo, al Santo, alla fraternità e all’accoglienza? Se Jovanotti sapesse cantare, di certo lo sarebbe. La realtà, invece, dice esattamente il contrario: Jovanotti non ha ricevuto dal buon Dio il dono del bel canto, non ha questa grazia, non ha questa competenza. Jovanotti dimostra di essere ‘incompetente’ e sgraziato, uno a cui non è data la possibilità di fare atti di umiltà per celebrare chicchessia, men che meno Francesco d’Assisi. Fa semplicemente un atto sconclusionato, stolto. L’aver improvvisato la melodia non lo salva.

Di certo non è nuovo a cose del genere. Nel 2011 volle omaggiare Fabrizio De André, eseguendo il brano Il suonatore Jones nel cimitero di Spoon River, davanti alla tomba di Jones stesso. De André, maniacale nella resa formale dei suoni, scialacquato da uno stonaticchio Jovanotti che “suona” maldestramente la chitarra pizzicando le corde col pollice, cantando un brano in cui rintracciare quasi tutto della poetica di Faber e anche un suggestivo biografismo nel contenuto, in quel luogo. Un sacrilego cazzotto allo stomaco del buongusto: Jovanotti, evidentemente, è così. C’è poco da fare. Azzarda, e credo che sostanzialmente questo sia un bene.

Torniamo però ora ad Assisi. C’è una frase che più delle altre descrive l’azzardo e condisce l’intera vicenda di un alone fastidioso indelebile. Poco prima di cantare, Jovanotti introduce ciò che andrà a fare, mettendo le mani avanti, parlando delle sue imminenti stonature e dicendo: “Son sicuro che San Francesco non era proprio intonatissimo. No no no, ho quest’impressione perché non c’erano mica le scuole di canto all’epoca”.

Una ‘boiata’ imperdonabile che disintegra ogni seppur minima stilla di umiltà e buona fede. Un esempio di “pensiero chiuso”: a un certo punto il nostro sistema cerebrale non è più in grado di articolare idee e manipolare sinapsi e cerca la soluzione più sbrigativa, che nel suo caso si sposa con l’adrenalina superba del ruolo del cantante di successo. Una forma di delirio di onnipotenza nel posto più sbagliato.

Ce lo si poteva aspettare? Non so. Forse sì. Forse davvero Jovanotti pensava di calare dall’alto il suo canto e la sua performance. Forse davvero Jovanotti è andato ad Assisi con lo spirito peggiore, il più sbagliato, del parvenu che crede che tutto gli sia concesso.

È la sfacciataggine in cui sta sprofondando questo Paese, dove è oramai opinione diffusa il fatto che acquisire competenze sia un’inutile e sfigata perdita di tempo.

E chissà cosa avrebbe pensato lo stesso Francesco se, nel luogo simbolo che consacra le sue gesta, avesse visto la scena di Jovanotti che gira il libro di Aldo Nove e lo mette in bellavista a favore di obiettivo, mentre il frate davanti a lui parla di aiuti alle Filippine e al Kenya. Strada difficile quella dell’umiltà.

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