La Pasqua è alle porte ed ancora una volta il consumismo si scatena. Aumenta persino di un’inezia il Pil in questi giorni, che poi sono quelli in cui chi fa la spesa al supermercato, dopo essere passato dalla cassa, guarda con stupore la lista della spesa: non crede di aver comprato per quella cifra che compare in fondo.

Nessuno conosce più il perché la Pasqua si celebri. Per i bimbi degli anni Duemila Pasqua è il giorno dei dolciumi. Nei templi del consumismo si celebra il rito sempre più stantio di inventarsi nuovi dolci. La colomba simbolo di resurrezione si riempie di cioccolato o di crema pasticcera; il coniglio, anch’esso simbolo pasquale nei paesi anglosassoni, si ammanta di zuccheri. Poi ci sono le praline, le torte, le ciambelle, ed ovviamente il simbolo consumistico per eccellenza: le uova. L’ipermercato Auchan ostenta quest’anno per l’occasione un uovo di cioccolata gigante da trenta chilogrammi, molto conveniente (meno di 150 euro), ma anche molto pericoloso, dovesse cascare in testa allo sfortunato bimbo.

Gli adulti non si distaccano dalla tradizione godereccia, che li vuole con “le zampe sotto il tavolo ed azione” sia a Pasqua che a Pasquetta. Anche per loro la resurrezione della carne è solo un vago ricordo, che vada bene, mentre la carne c’è eccome sulle loro tavole, con preferenza di agnelli. Ed è davvero singolare come gli animali simbolo della Pasqua, colombe, conigli ed agnelli, oggi arricchiscano le tavole imbandite.

Meno male che la crisi argina un po’ i consumi. Ma il pranzo pasquale vale pur sempre oggi circa un miliardo di euro.

Mi auguro che non sia la crisi ma una presa di coscienza invece circa la diminuzione nella macellazione di ovini e caprini, passati secondo l’Istat dai sette milioni del 2004 ai tre milioni del 2013.

Per quanto mi riguarda, nei campi ci sono ottime ortiche, c’è la borraggine e la silene. E tanto basta.

 

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