Qualcuno fra i frequentatori (e lettori) di questo blog avrà sentito parlare di un giornalista, Cesare Medail, che ha avuto per anni la responsabilità della pagine culturali del Corriere della Sera. Io l’ho conosciuto quando, giovani entrambi, militavamo nel mondo liberale.

Cesare Medail allora era particolarmente schierato a difesa dei cosiddetti diritti civili, sopra tutti i diritti delle minoranze talvolta calpestati in nome della democrazia. Negli anni ’70 vi erano luoghi ed istituzioni dove l’esercizio delle libertà della persona era costantemente negato. Il liberalismo di Medail era intessuto di queste lotte e il giornalismo era la sua palestra professionale dove la denuncia acquistava uno spessore collettivo, in grado di smuovere le acque.

In altre parole era una coscienza libera anche si poneva l’obiettivo non di cambiare il comportamento degli altri ma di renderli consapevoli.

Allora io vedevo in questa testimonianza di vita e di idee una dose di radicalismo che mi dava fastidio e per questa caratteristica non l’ho condivisa.

Poi l’ho seguito come giornalista e ho annotato una trasformazione che avveniva in lui. Dall’intransigenza originaria ad una apertura sempre più accogliente alla verità. Come scrive nell’introvabile e prezioso libretto “Le dodici porte”, ha capito e assimilato nel profondo la lezione della verità che è anche movimento di aperture al mondo, all’universo.

Le dodici porte (ma perché nessuno lo ripubblica?) sono i maestri dello spirito nel senso più alto di questa parola che aprono a degli itinerari diversi, che portano a scoprire terreni nuovi di indagine e di azione politica.

La mia impressione è che il viaggio di Medail sia un ritorno alle sue origini liberali, a dare un fondamento di spiritualità e di coscienza a quelle pulsioni di libertà che animavano le sue battaglie giovanili.

In ogni settore della attività umana signoreggiano i potentati economici, finanziari, politici e industriali riconducibili a grandi concentrazioni di interessi di fronte ai quali solo la crescita interiore della persona può essere l’unica arma dei disarmati.

Mi sembra che la strada sia quella – percorsa con coraggio da Medail – di mettere continuamente in discussione se stessi rimanendo fedeli al nucleo di ricerca della verità che riempie le nostre azioni.

Lo stesso pacifismo richiama una presa di coscienza più ampia. Se guardiamo al quadro delle relazioni internazionali la tentazione di pensare alle guerre (locali!) come ad un rimedio è diffusa. Si scivola lentamente verso questa tentazione e si sperimenta l’uso degli armamenti più sofisticati come dei farmaci sul fisico del malato. Ma le guerre, tutte le guerre lasciano sempre uno strascico doloroso dietro di sé.

Thich Nhat Hanh, il padre spirituale dei buddisti vietnamiti in esilio, perseguitato da tutti i regimi che hanno martoriato il suo paese l’ha detto : “è molto facile cominciare le guerre, non è facile finirle”.       

 

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