L’articolo di Science dal titolo “”Human Activity May Have Triggered Fatal Italian Earthquakes, Panel Says” ovvero, “Le attività umane potrebbero avere causato terremoti fatali in Italia, secondo la commissione” e soprattutto il rapporto della commissione istituita dalla Regione Emilia Romagna tenuta nei cassetti della regione si prestano a diverse riflessioni.

Il primo fatto che salta all’occhio, è che una autorevole rivista scientifica sottolinea che la Regione Emilia Romagna non è stata abbastanza trasparente, tenendo la relazione della commissione nei cassetti della Regione.

Da questa relazione non risulterebbe alcun legame con le indagini per il contestato deposito di gas di Rivara, ma meriterebbero una parolina anche quei politici (e alcuni scienziati e ricercatori) che continuavano a promuoverlo. Ha senso, in una zona comunque non certo priva di rischio sismico? Secondo noi no, anche per tanti altri motivi. E se una cosa non ha senso farla, non hanno senso neanche le indagini. Questo vale anche per le esplorazioni petrolifere in genere, perché se a una compagnia si da un permesso di esplorazione, che dicono alcuni politici non implica necessariamente l’ok all’estrazione, si fa poi fatica a dirgli, se viene trovato “no guarda, ti ho lasciato cercare petrolio ma ora non te lo lascio estrarre”.

L’altro aspetto su cui val la pena riflettere è la produzione del campo petrolifero del Cavone. Risulta che qui nel 1990 si estraevano 144.000 tonnellate di greggio all’anno, scese a 30.000 negli ultimi anni; un drastico crollo di produzione che va chiamato col suo nome: picco del petrolio, o peak oil. Un processo tipico dei singoli giacimenti, ma anche di ogni nazione produttrice di petrolio e dell’intero pianeta, che si trova, per così dire, sull’orlo del baratro.

E’ questo il vero motivo della rincorsa alle esplorazioni e alle trivelle.

Stiamo, letteralmente, raschiando il fondo del barile.

E a proposito del barile, sono proprio pochi quelli che scaturiscono dal discusso campo del Cavone fra San Possidonio e Mirandola. Si parla di circa 700 barili al giorno, da cui, a spanne, una volta raffinato verranno circa 2.000 pieni di carburante. Per dare un’idea, in Italia si consumano circa 1,8 milioni di barili di petrolio al giorno. Scarse poi le royalty, se è vero che San Possidonio percepisce a malapena 17.000 euro all’anno. Francamente, ne vale la pena?

Al di là dell’eventuale relazione col terremoto, poi trivellare e usare petrolio è pessima cosa per tanti altri motivi, primi fra tutti i combustibili fossili (tutti, anche il falsamente detto “ecologico” metano) una volta combusti si trasformano in gas serra con emissioni di cO2 responsabili dei cambiamenti climatici. Non basta più ora ridurre di 5-6% le emissioni come prevedeva il protocollo di Kyoto, occorre molto di più, in teoria, letteralmente, lasciare sotto terra i combustibili fossili. Saremo in grado di farlo, e soprattutto di accettare i cambiamenti drastici di stile di vita e modello di sviluppo che ne conseguirebbe?

Certo, se abbiamo comunque bisogno, probabilmente a lungo, di usare auto, camion, ma anche plastica, medicinali, fertilizzanti e tanto altro che deriva dal petrolio è chiaro che da qualche parte occorre poi trivellare. E se non si fa da noi, da qualche altra parte va (e viene) fatto, magari distruggendo foreste, contaminando fiumi e mare, laghi e campi agricoli, o anche deserti che pure sono importanti ecosistemi.

E magari fare qualche guerra chiamata “missione di pace”.

Poi, serve e servirà petrolio se si insiste con la politica dei trasporti su gomma e con le autostrade, come, notizia di questi giorni, la (forse) definitiva approvazione della, non ci stancheremo mai di dirlo, inutile costosa e impattante bretella Modena-Sassuolo.

Ma non è finita e nel prossimo post affronteremo altri problemi.

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