Gli effetti collaterali della crisi per chi ha una patologia cronica o rara sono diventati una lotta per la sopravvivenza. In pratica, il diritto all’assistenza sanitaria è un miracolo: la maggior parte dei pazienti è costretta a rinunciare alla riabilitazione (63 per cento) e un’altra fetta al servizio domiciliare (33 per cento). Ci sono quelli che sacrificano la spesa per i farmaci non dispensati dal Ssn (37 per cento) e altrettanti che saltano gli esami di controllo. Complice la precarietà sul lavoro: godere di un permesso retribuito è un lusso per il 60 per cento di loro. Per paura di perdere il posto la metà evita addirittura di chiedere un giorno libero per motivi di salute, molti pensano che sia meglio nascondere la patologia al capo (43 per cento) o accontentarsi di una mansione che però aggrava le loro condizioni psicofisiche. A fornire il quadro della situazione è il movimento Cittadinanza attiva che ha raccolto i dati nel XII Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità.

“Siamo arrivati al colmo: o ti curi o mantieni il posto di lavoro”: è lapidario Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato, organo del movimento. In effetti, chi ha provato a conciliare il lavoro con l’esigenza delle terapie ha subìto minacce di licenziamenti o non ha avuto il contratto rinnovato. La stessa cosa vale anche per i familiari che si prendono cura del parente malato in mancanza di alternative. “Il governo – prosegue Aceti – riduce l’assistenza ospedaliera senza però potenziare quella sul territorio. E così le famiglie ricorrono al ‘fai da te’ anche se non hanno le competenze adeguate”. Secondo l’Istat, il 38 per cento della popolazione italiana soffre almeno di una patologia cronica (il 20 invece dichiara di averne almeno due), soprattutto ipertensione, artrite, osteoporosi, asma bronchiale e diabete. E i costi per le cure (quelle non coperte dal Sistema sanitario nazionale) sono proibitivi per oltre la metà. Tanto per avere un’idea, in media la spesa annuale per una badante è di nove mila euro.

“Ma un malato di Sla, – precisa Aceti – spende tra i 15 e i 20 mila per avere un’assistenza specializzata”. Il ricovero in una struttura residenziale invece costa oltre sette mila euro. Se ne spendono più di mille per esami e visite a domicilio, 1580 per la prevenzione terziaria (quindi diete particolari, attività fisica, dispositivi vari), 3700 per adattare l’abitazione alle esigenze del disabile, 900 per i parafarmaci (creme e integratori alimentari), 1200 per le sedute dello psicologo, 700 tra siringhe, assorbenti, cateteri e sacche, 650 per i farmaci non rimborsati, 500 per protesi e ausili non passati dal Ssn. Risultato, commenta Aceti, “un salasso sulle spalle del malato o della sua famiglia quando c’è”.

Dei disagi che devono sopportare i malati cronici parlerà Cittadinanza attiva nel convegno in programma il 23 maggio all’interno di Exposanità, la fiera internazionale dedicata ai temi dell’assistenza e della sanità che ogni due anni si tiene a Bologna. “Le ditte hanno comparto stand più piccoli, la crisi si tocca con le mani – dichiara Marilena Pavarelli, project manager dell’evento -. Sia chiaro, non si parlerà soltanto di quello che non funziona. Verranno presentate anche realtà virtuose”. E fa subito un esempio: “La Fondazione Santa Clelia Barbieri di Bologna, che gestisce una casa di riposo, due volte alla settimana organizza corsi di formazione per i familiari che devono assistere il parente malato, insegnandogli per esempio come curare le piaghe di decubito o il piede diabetico”.

La Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) ha curato un Libro bianco in cui ha catalogato tutti i casi di successo di assistenza sul territorio nati negli ultimi anni nel nostro Paese. Ma a quanto pare gli sforzi fatti sono solo gocce in mezzo al mare. “Per la prima volta il numero più alto di segnalazioni fatte al Tribunale riguarda la difficoltà di accedere alle prestazioni pubbliche – sottolinea Aceti -. Mentre fino all’anno scorso in cima alla lista ci sono sempre state le denunce sui presunti errori dei medici”. Per quale motivo? “I ticket per alcuni esami diagnostici costano dai 50 ai 60 euro. Quindi la gente o posticipa la visita o non la fa proprio. Per non parlare delle liste di attesa, infinte, anche per chi ha il cancro e per un ritardo potrebbe lasciarci la pelle: in Campania per un ciclo di chemioterapia si possono aspettare 77 giorni, assurdo”.

Un’altra piaga da sanare sono i Lea, cioè i Livelli essenziali di assistenza, “garantiti a macchia di leopardo nelle varie regioni e quasi assenti al sud”. Aceti, infine, chiede che venga eliminata al più presto “la misura prevista dalla legge 214/2011 e dal nuovo regolamento Isee, secondo cui i trattamenti assistenziali come indennità di invalidità civile e di accompagnamento sono considerati ‘fonti di reddito’ ” e perciò vanno calcolati nei redditi familiari. Nel 2013 il Tribunale per i diritti del malato ha ricevuto 27.500 segnalazioni in totale, cioè oltre mille in più rispetto al 2012.

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