Rifiuti industriali sepolti da almeno vent’anni e portati alla luce dagli escavatori che la Procura di Lecce ha voluto all’opera. Alcuni hanno rischiato di essere tombati una volta per tutte con il passaggio della nuova statale 275, l’opera pubblica più contestata di Puglia, una lingua d’asfalto a quattro corsie voluta da Anas e di prossima realizzazione.  In mattinata, in contemporanea in due punti diversi del Capo di Leuca, le pale meccaniche hanno confermato i sospetti: pellami, colle e altri scarti dell’industria calzaturiera sono stati occultati in una ex discarica e anche nel giardino di un’abitazione. Il primo sito è a Tricase, dove i carotaggi sono stati condotti dalla Guardia di Finanza di Maglie, mentre il secondo, ispezionato dai carabinieri del Noe di Lecce, è a Patù, ad un tiro di schioppo da Leuca, in un canalone che digrada verso il mare di San Gregorio. Indagini diverse, entrambe coordinate dal pm Elsa Valeria Mignone. Le ipotesi di reato contestate sono quelle di discarica abusiva e omessa bonifica.

Il prologo risale alla scorsa settimana, quando è stato disposto il sequestro di un altro sito, ad Alessano, a pochi passi da quello tricasino. Da allora, tutto ha preso a incastrarsi: scenari gemelli e sorti identiche, almeno in questi ultimi due casi: in quelle ex cave di pietra, a metà anni ’80, i rispettivi Comuni avevano autorizzato discariche per rifiuti solidi urbani in deroga alla normativa nazionale. Ordinanze indifferibili e urgenti hanno dato il via alla corsa per infarcire i cosiddetti “buchi”. Ma dalla spazzatura delle civili abitazioni, l’unica che lì poteva essere smaltita, ai resti della lavorazione del manifatturiero il passo è stato fin troppo breve.

Niente era stato portato a galla, finora. Tra l’altro, entambi i siti di Alessano e Tricase, territori confinanti, sono destinati ad essere attraversati dalla mega arteria voluta da Anas, che, giusto due settimane fa, ai fini dell’esproprio, è entrata in possesso di quelle particelle. Probabilmente anche il rischio che un sarcofago di cemento sigillasse una volta per tutte quel passato ha smosso le acque. A dare il via all’inchiesta è stato l’incrocio di due binari paralleli: da un lato, la segnalazione di anomalie fatta dalla Corte dei Conti relativa alla progettazione della statale 275; dall’altro, testimonianze ed esposti di associazioni ambientaliste che hanno indicato i siti sospetti. Gli investigatori hanno fatto il resto, specie dopo le analisi condotte sulle acque dei pozzi nella zona: appurerebbero la presenza, sebbene sotto la soglia d’allarme, di diossine nell’acqua, segno possibile di una contaminazione tramite il percolato, il liquido tossico prodotto dai rifiuti. La certezza matematica ancora non c’è, poiché quel monitoraggio è stato eseguito da un laboratorio privato per conto del Comune di Tiggiano, sempre nel Capo di Leuca. Spetterà agli enti pubblici, ora, ripetere i prelievi e dare risposte inequivocabili, nella consapevolezza che gli appelli alla tranquillità non bastano più.

L’unico punto fermo è l’evidenza di oggi, vale a dire le tonnellate di scarti che ritornano a galla sotto i denti delle pale meccaniche. Fantasmi del passato, della produzione calzaturiera che rese i salentini, fino a quindici anni fa, i cinesi d’Italia. Adesso restano capannoni vuoti e discariche piene. E ruspe pronte a tornare in funzione.

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