Tra una manciata di ore, alla chiusura delle borse, il Governo annuncerà le proprie scelte per i vertici dei giganti del gas, della luce, dei trasporti, delle comunicazioni e di molte altre società partecipate e controllate dallo Stato.

“Sarà una scelta all’insegna della discontinuità”, ripetono da settimane il neo-premier Matteo Renzi ed il suo entourage.

“Via i boiardi di Stato” dalle poltrone sulle quali sono stati seduti per anni e, in alcuni casi, quasi per lustri, accumulando inestimabili ricchezze.

Sono promesse e buoni propositi che, tuttavia, si scontrano con le voci che si rincorrono sempre più insistentemente e con i titoli di giornali e telegiornali che raccontano di un autentico valzer o, forse, meglio, di una sorta di grande “gioco della scopa”, nel quale al grido “changez la femme”, i soliti nomi eccellenti con alle spalle una vita nei corridoi dei Palazzi del potere si scambieranno di posto.

Una girandola di nomi e poltrone che potrebbe cambiare tutto per non cambiare niente.

Occorrerà aspettare una manciata di ore per averne conferma ma la sensazione, allo stato, è che, purtroppo, sulla questione delle nomine pubbliche il nuovo Governo sia stato assai meno rivoluzionario di quanto parole, proclami e promesse non lasciassero sperare.

Chi si aspettava una rivoluzione copernicana del metodo di selezione dei vertici dei colossi industriali di Stato nel segno della meritocrazia e della trasparenza è rimasto deluso.

Non è “condannando” a “pensionamenti dorati” – anche ammesso che sia così – un manipolo di storici capitani d’industria dei colossi di Stato che si garantisce “discontinuità” rispetto ad un sistema incancrenito che ha prodotto sfaceli etici ed economici e spento le speranze di milioni di giovani italiani.

Sarebbe stato necessario un radicale ripensamento delle dinamiche di selezione dei nuovi vertici, sarebbe stato necessario riscrivere, di corsa, le “regole del gioco” e garantire ai più bravi di salire più in alto a prescindere da correnti, lottizzazioni, quote ed amicizie.

Niente di tutto ciò, tuttavia, finora è stato fatto.

Tutto sommato, l’unico vero cambiamento che si scorge all’orizzonte in questo giro di valzer attorno alle poltrone di Stato che contano di più è datato giugno 2013, quando ancora, a Palazzo Chigi, sedeva Enrico Letta.

All’epoca, il ministro dell’economia Saccomanni si prese almeno la briga di firmare un decreto nel quale provava a “salvare la faccia” – pur senza modificare la sostanza – stabilendo che alle nuove regole si sarebbe proceduto con qualche briciola di trasparenza in più e coinvolgendo nel processo due tra le più grandi società di “cacciatori di teste” operanti nel nostro Paese.

Niente di rivoluzionario intendiamoci.

Il decreto, infatti, si limitava a stabilire – come è poi accaduto – che venissero pubblicate sul sito del Ministero dell’Economia le “posizioni” destinate a rimanere vacanti ai vertici delle società partecipate e controllate dallo Stato assieme ad un indirizzo e-mail al quale inviare un curriculum ed una candidatura.

La “faccia”, forse, all’epoca, venne salvata. La sostanza certamente no.

Nulla sembra cambiato rispetto ai tempi in cui i “boiardi di Stato”, oggi condannati ad ostracismi dorati, sono stati nominati da lobby e segreterie di partito alla guida delle società che oggi verranno affidate a nuovi “boiardi”.

Gli inviti di quanti avevano suggerito di percorre altre strade e ricorrere ad altri metodi davvero nuovi e rivoluzionari sono rimasti inascoltati.

Inutile, tra qualche ora, “spulciare” i curricula – ammesso che vengano effettivamente pubblicati come imporrebbe la Direttiva Saccomanni – dei “nominati” a caccia di rassicurazioni sulla loro competenza, esperienza ed indipendenza.

Il punto non è “chi” viene nominato ma “come” si viene nominati.

Ciò che neppure il governo del “Matteo nazionale” sembra aver compreso che la questione – se si vuole cambiare un sistema – è intervenire sul metodo e non sul merito perché gli uomini – inclusi i migliori – passano mentre le regole restano e sono le sole capaci di garantire un futuro ad un Paese e di restituire almeno la speranza ai più giovani.

È per questo che il “fallimento” del nuovo corso deve essere annotato prima di conoscere i nomi dei nuovi vertici dei Gruppi di Stato, proprio per sottolineare che il problema sta nel metodo e non nel merito della scelta che se anche fosse caduta sulle persone migliori, sarebbe comunque sbagliata.

In Inghilterra, ci sono un’apposita Authority ed un codice che sovrintendono a tutte le nomine pubbliche, non per sottrarle ai ministri cui la legge le affida ma semplicemente per garantire che il metodo di selezione sia al di sopra di ogni sospetto.

E si tratta di un metodo semplice e lineare che andrebbe, semplicemente, replicato nel nostro Paese.

Merito, imparzialità e trasparenza sono i tre criteri guida cui ogni processo di nomina pubblica deve ispirarsi.

Massima pubblicità possibile della selezione in corso per garantire al più alto numero di candidati di partecipare, pubblicazione preventiva dei criteri di selezione e rigore scientifico nella composizione della short list dei candidati tra i quali ai ministri tocca poi procedere alla nomina.

Semplice no?

Open Media Coalition ha appena lanciato una petizione per chiedere che un metodo analogo venga adottato anche in Italia per tutte le nomine alle cariche pubbliche, potete firmare anche voi.

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