La parte più difficile, nell’iter del Documento di economia e finanza, inizia ora. Ed è l’esame di Bruxelles. Il testo che mette nero su bianco gli obiettivi di politica economica e di finanza pubblica dei prossimi tre anni dovrà essere infatti inviato (“entro il prossimo 15 aprile”, ha detto Sandro Gozi, sottosegretario con delega agli Affari europei) alla Ue, che lo passerà al setaccio per valutarne i contenuti e la tenuta “alla luce delle richieste del Patto”, cioè in base agli impegni presi finora con la Ue. Il 2 giugno arriverà la “pagella”, completa di eventuali critiche e raccomandazioni aggiuntive. Il passaggio è fondamentale per il rapporto tra il governo Renzi e le istituzioni europee. A caldo, la prima valutazione della Ue sui contenuti del Def – “considerazioni preliminari” in attesa della “comunicazione formale” da parte del governo – è in larga parte positiva, ma con alcuni punti di domanda e nodi da sciogliere. Non è ancora una promozione, insomma. Simon O’ Connor, portavoce del commissario Ue per gli Affari economici Olli Rehn, ha fatto comunque sapere che la Commissione “ha accolto con favore l’accelerazione delle riforme in Italia e l’intenzione di procedere spediti con privatizzazionirazionalizzazione della spesa, efficienza della p.a.“. Bene anche, ha proseguito, l’impegno “a finanziare la riduzione delle tasse per i lavoratori con salario basso interamente con tagli alla spesa”. E qui c’è un piccolo giallo: la revisione della spesa, in realtà, copre solo due terzi (4,5 miliardi su 6,7) della rimodulazione dell’Irpef. Per il restante terzo i finanziamenti arriveranno da due misure una tantum e i cui risultati sono, per di più, in parte aleatori. Si tratta del maggiore gettito Iva che dovrebbe arrivare dalle imprese a cui la Pa finalmente pagherà i debiti e dell’aumento, per le banche, della tassazione sulle plusvalenze derivanti dalle rivalutazioni delle quote della Banca d’Italia. Un ritocco retroattivo contro il quale l’Abi per voce del presidente Antonio Patuelli e del dg Giovanni Sabatini, ha già promesso battaglia.

A stretto giro, poi, è arrivato anche il primo ammonimento  sul fronte dell’equilibrio dei conti: l’Italia, ha detto O’ Connor, “deve conseguire il pareggio di bilancio in termini strutturali, che è un obiettivo a medio termine, per mettere il suo elevato debito pubblico su un percorso discendente e restare in linea con i requisiti” richiesti dai patti europei. Ma l’esecutivo, stando ai numeri del Def, intende rinviare quel pareggio (il cui raggiungimento è ormai previsto anche dalla Costituzione) di un anno, dal 2015 al 2016. Il rientro, ha spiegato Padoan, è più lento “perché l’Italia ha contribuito ai fondi salva Stati” e perché “abbiamo fatto alcune operazioni che sono state suggerite dalla Ue come il rimborso del debito della P.a“. Il debito, quest’anno, salirà al livello record del 134,9% del pil, per poi scendere al 133,3% nel 2015 e al 129,8% nel 2016. Per arrivare a quota 120% occorrerà attendere il 2018. Nulla di preoccupante, comunque, per il ministro: “La nostra finanza pubblica è a posto”, ha sostenuto, e “per ridurre il debito basterebbe avere un livello soddisfacente di crescita nominale“, ovvero un’inflazione vicina al 2% e un pil in aumento di circa l’1%. Parlando al termine della sua visita al Vinitaly, anche Renzi ha ribadito che il governo è stato prudente e “rigoroso” nelle sue previsioni (per esempio “non abbiamo valorizzato l’effetto” sulla crescita degli 80 euro in più in busta paga) e dunque “non ci sarà bisogno di una manovra correttiva. Non mi aspetto brutte sorprese, mi aspetto sorprese positive, avremo maggiore spazio a disposizione”.

 

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