William Russell è considerato il primo vero reporter di guerra. Inviato del Times, fu mandato proprio in Crimea per seguire le sorti dell’esercito britannico. Russell partì nella primavera del 1854 da Malta e nel novembre dello stesso anno, il direttore del Times, John Delane, pubblicava la sua memorabile cronaca della disfatta dei 600, la brigata leggera dell’esercito di sua Maestà che a Balaclava si infrangeva contro le linee e cannonate russe.

Le vendite del Times è inutile dirlo che raddoppiarono. C’era un forte interesse mediatico su ciò che stava accadendo in Crimea. Propria la penisola in questione sarebbe tornata in auge nel 1994 con un primo tentativo di passare sotto l’egida russa. La secessione dall’Ucraina fu sventata. Certo allora c’era Eltsin e non l’improvvido e temibile Putin. Oggi le sorti della Crimea e dell’Ucraina sembrano lontane anni luce dall’opinione pubblica europea soprattutto italiana proprio nel giorno in cui il Segretario Generale della Nato Anders Fogh Rasmussen avverte Mosca sui rischi di possibili nuove mosse in Ucraina dopo l’annessione della Crimea.

La Nato ha annunciato nuove operazioni militari congiunte in territorio ucraino che coinvolgeranno un totale di 7.000 uomini. Il Pentagono si accinge ad inviare altri 175 militari nella base romena sul Mar Nero portando a un totale di 675 il numero di marines nell’area. Sui moli di Sebastopoli sono ormeggiate le unità russe della flotta del Mar Nero guidata dall’ammiraglio Aleksandr Vitko: un incrociatore, 4 cacciatorpediniere e 2 fregate della 30a Divisione, una decina di corvette, due sottomarini, 7 navi da sbarco, altrettante motovedette lanciamissili e una decina di dragamine. Inoltre i russi utilizzano caserme e strutture logistiche che ospitano 26.000 marinai rafforzati da unità di forze speciali e paracadutisti per un totale forse di poco inferiore alle 30.000 unità. Nei due aeroporti militari (Gvardeyskoye e Kacha) sono stanziate due dozzine di bombardieri Sukhoi 24. Con questi numeri e queste forze Mosca può controllare interamente la Crimea e le acque circostanti. Una strategia di potenza più che diplomatica visto che il Nato-Russia-Council, lo strumento operativo firmato al vertice Nato di Pratica di Mare nel 2002, sembra già passato nel dimenticatoio.

Intanto i paesi dell’Unione Europea agiscono senza una politica comune. Del resto era prevedibile visto che in Kosovo è andata allo stesso modo tanto che persino l’indipendenza venne riconosciuta solo da alcuni Stati. Uno smacco che Putin non avrebbe digerito vista la sua posizione contraria. Un’Europa sempre più tedesca dove gli altri membri, fatta esclusione del Regno Unito assente di fatto, potrebbero avere un ruolo di primo piano. L’Italia è però troppo chiusa nel suo provincialismo per ragionare ad ampio respiro. Così la palla rimbalza tra Usa e Russia, una guerra di potenza dove probabilmente si finirà con il riconoscere il nuovo stato della Crimea. Del resto Putin aveva fatto lo stesso con gli Usa e l’Occidente quando si trattò della separazione del Kosovo imposta alla Serbia. Lo “zar” russo avrebbe commesso violazioni di diritto internazionale in Abkhazia e Ossezia Meridionale infischiandosene visto il precedente storico creato dagli Usa. Due potenze mondiali che non hanno interesse a farsi la guerra ma a mostrare la propria forza sapendo bene che un intervento militare risveglierebbe alcuni territori in fibrillazione.

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