Mi sottoporrò – uso esterno – ad alcune faticose premesse: non conosco il professor Rodotà, lo considero un uomo molto serio, non ho firmato e non firmerò l’appello che lui e altre personalità hanno prodotto sui pericoli di una deriva autoritaria da parte di Renzi (non lo condivido e poi non firmo appelli di alcun tipo). Detto ciò, considero tecnicamente vile il “delicato” intervento che Claudio Cerasa del Foglio ha voluto dedicargli con questo video. Un tempo lo si sarebbe definito un lavoretto pulito. La storia probabilmente un po’ la sapete. Segugi impenitenti hanno scovato una proposta di legge del medesimo Rodotà che nell’85, quasi una trentina di anni fa, immaginava addirittura una forma di monocameralismo “perfetto”. Caspita. Il segugio perfetto è in questo caso il professor Ceccanti che si è divertito a disvelare l’”oscena” contraddizione (ma Christian Raimo qui lo contesta).

Sin qui tutto benissimo, nella sua oscenità la nostra vita è sempre a disposizione di qualcun altro, che ne può disporre a piacimento. A patto che si sappia trattarla con la cura necessaria. Molti anni fa, era il ’99, un altro trattamento diede scandalo, soprattutto dalle parti di Repubblica che lo considerò un’infamia. Era un’intervista a Norberto Bobbio di Pietrangelo Buttafuoco apparsa sempre sul Foglio, nel quale il professore rivelò certe sue debolezze giovanili per il fascismo (il che non toglie nulla alla sua grandezza, semmai aggiunge). Buttafuoco venne accusato d’avergli teso un agguato, ma non era vero.

Di questa contraddizione di Rodotà, con elastico trentennale, si assai giovato Claudio Cerasa, il quale ne ha scritto. E fin qui nulla di male, anzi benissimo. La parola scritta, sapendola maneggiare, è terribile ma la sua terribilità costringe generalmente al rispetto di certe forme. E le forme sono sempre sostanza. Ma Cerasa non si è fermato alla parola scritta. Con vezzo elefantino, ne ha voluto fare un video a uso e consumo di tutti gli Youtubbisti e dunque si è consegnato a un linguaggio a lui poco consono, in cui riempire i vuoti con qualcosa che lasciasse attoniti perché “la televisiun – diceva Jannacci – la g’ha na forsa de leun”.

E gli effetti molto speciali hanno prodotto sì il risultato, e davvero lusinghiero, di un piccolo carnefice che sventola la fotografia della sua vittima, e poi lo chiama “parruccone”, poi “capo dei parrucconi” e poi ancora “capo del partito dei parrucconi” e pazienza se tra vittima e carnefice passano, più o meno, cinquant’anni di educazione, vada all’inferno il vecchio anche se, si rivolge affettuosamente Cerasa, “gli vogliamo molto bene”. Come no.  

 

La Repubblica tradita

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