Sono classificate come operazioni a medio e alto rischio biologico, perché fatte a contatto con persone provenienti da Paesi dove tubercolosi, ebola, hiv ed epatite sono malattie endemiche o molto frequenti, eppure chi le esegue spesso non è informato né protetto come previsto. Anzi. Proprio a dicembre scorso il personale sanitario civile e militare impegnato nel pattugliamento dei mari con l’operazione Mare Nostrum, insieme al Partito per la tutela dei diritti dei militari (Pdm), aveva sollevato l’allarme per il rischio di poter contrarre la tubercolosi, non essendo prevista alcuna vaccinazione. Un timore rivelatosi fondato visto che a gennaio ben tre membri del personale sanitario hanno contratto la tubercolosi, ma la notizia è stata tenuta riservata e non è stata fatta trapelare all’esterno. Anche perché proprio in quegli stessi giorni il Comando in Capo della Squadra Navale (CINCNAV), con un messaggio del 14 gennaio, disponeva con effetto immediato che tutto il personale impegnato nell’operazione Mare Nostrum fosse “sottoposto a verifica della copertura vaccinale con eventuali richiami secondo il protocollo 1 della direttiva” in uso “integrato dalla vaccinazione antitifica e dell’antinfluenzale stagionale” e che il medesimo personale sia “sottoposto a cutireazione di Mantrox (test tubercolosi) da ripetere annualmente e in caso di positività dovrà essere effettuato il test Quantiferon integrato da visita specialistica per follow up”.

Tubercolosi a bordo. A confermare la vicenda è un graduato dell’Aeronautica Militare (per cui manteniamo l’anonimato), che ha partecipato ad altre missioni di pattugliamento dei mari e soccorso ai migranti anche con il reggimento San Marco. “Una collega infermiera – racconta – mi ha rivelato, sfogandosi, che su Mare Nostrum ci sono stati tre casi di tubercolosi, di cui uno è stato fatto sbarcare. Ma nulla è stato fatto trapelare all’esterno”. Un problema, quello della tubercolosi, già segnalato nel 2011 dal Pdm, tramite i parlamentari radicali, che aveva chiesto al ministro della Difesa di sapere quali fossero le “attività di prevenzione e di sorveglianza sanitaria presso il Servizio sanitario militare interforze, quanti fossero i medici ed infermieri militari sottoposti a vaccinazione obbligatoria antitbc – evidenzia il segretario Luca Comellini – ma avevamo ricevuto una risposta elusiva”.

Rischio biologico. Le linee guida per la prevenzione del rischio biologico del Comando in capo della squadra navale spiegano che “l’esposizione al rischio biologico non prevede l’esistenza di una soglia critica e la sola presunzione del rischio giustifica ed impone l’adozione di misure efficaci a garantire la protezione. Tenuto conto delle precarie condizioni igienico sanitarie del personale migrante, dell’assenza di un quadro sintomatologico conclamato, della possibile fase d’incubazione e del possibile stato di ‘portatore asintomatico’ il rischio infettivo/biologico è da ritenersi sempre medio alto”. E tra gli agenti biologici di particolare rischio infettivo viene proprio indicato il bacillo di Koch, quello della tubercolosi.

Difficile proteggersi. Tanti i problemi per chi lavora a bordo. Informativi perché parte del personale impegnato nell’operazione non viene informato sui possibili rischi infettivi cui può andare incontro. “Io stesso, pur non lavorando a contatto direttamente con i migranti – continua Massimo – li vedevo passare a pochi metri da me mentre lavoravo sull’hangar, ma non sono mai stato rifornito di dispositivi di protezione individuale (dpi). Il dubbio mi era venuto e avevo chiesto se potevamo essere a rischio, ma mi era stato assicurato di no, perché eravamo lontani. Né ho mai avuto informazioni sui rischi”, come invece previsto nelle responsabilità dei Comandi. Poi c’è un problema di tipo logistico. “Anche se prima di imbarcarsi si fanno provviste di mascherine, tute e guanti – prosegue Massimo – una volta in mare può accadere che le mascherine siano insufficienti, a seconda di quanta gente si carica, e per colpa della burocrazia aggiornare il ciclo logistico e le scorte diventa molto difficile. Il personale sanitario è preoccupato per questo”.

Quanto alla tubercolosi, “la mia collega infermiera – aggiunge – mi ha confermato che da anni non si fanno più vaccinazioni per il personale civile, né al personale sanitario. Inoltre la direttiva del Cincnav parla di test della tubercolosi, e non di vaccino”. È “la prima volta, per Mare Nostrum – aggiunge Antonino, impegnato nell’operazione – che si fa la profilassi per la tbc. Anche se era prevista già da prima, non si era tassativi nell’applicarla. Dopo la direttiva si fa molta più attenzione”. Ma c’è anche un altro problema, potenzialmente più rilevante. Ogni volta che il personale deve trattare delle sostanze pericolose andrebbero compilate delle schede di rischio, un registro degli esposti e degli infortuni biologici, per individuare a posteriori chi ha avuto contatto con agenti biologici e chi dev’essere sottoposto a sorveglianza sanitaria. “Queste schede andrebbero aggiornate costantemente – rileva Massimo – ma rimangono ferme durante la navigazione, creando dei pericolosi ritardi”. Bisogna solo sperare che non accada qualcosa di grave. Altrimenti a rimetterci sono i militari.

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