Quando avevo 14 anni non avevo ancora ascoltato una sola nota di Scriabin, così comprai un cd che conteneva la Quinta sonata, eseguita da un pianista che non conoscevo per niente. Allora compravo quello che potevano le tasche di mia madre, e il disco costava poco. Rimasi davvero sconvolto dalla sonata e dal modo in cui era eseguita, c’era qualcosa di eccessivo in quel modo di suonare e c’erano suoni che non appartenevano solo alle corde del pianoforte. Le volate d’attacco della sonata erano come un lungo sospiro che vira in urlo, per rimanere afono alla fine. Mi innamorai di quel pianista, che era Svjatoslav Richter, e da allora non mi ha quasi mai deluso, e dire che di dischi suoi oramai ne posseggo a centinaia.

La Universal un anno prima del centenario della nascita del grande pianista russo-tedesco si è accorta di avere in casa tante incisioni: la vecchia edizione autorizzata dal pianista pubblicata negli anni ’90 dalla Philips (la guardavo nella vetrina del negozio di dischi dove andavo da ragazzino sognando di poterla avere, costava allora un patrimonio), le incisioni Decca degli anni ’80, e le incisioni solistiche DG degli anni ’60. Ebbene, la casa discografica ha riunito tutto in un box da 33 cd a poco prezzo e dalla veste grafica piuttosto spartana: poche note redatte da Piero Rattalino e non si sono nemmeno presi la premura di correggere alcune date di registrazione sbagliate di alcuni dischi della vecchia edizione Philips. Poco male, i dischi contengono anche ‘nudi’ alcune delle esecuzioni più sconvolgenti che siano mai state consegnate alla memoria e alla storia del pianismo e della musica.

Dire che Richter sia stato uno dei maggiori pianisti di tutti tempi è osservazione triviale, che il suo sterminato repertorio sia una miniera di capolavori è altrettanto banale, però è stata una storia lunga e del tutto peculiare. Richter, come si sa, varcò la ‘Cortina di ferro’ all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso che aveva già più di 40 anni, eppure l’effetto fu quello di un vulcano sconosciuto che improvvisamente erutti. Si presentò in Italia nel ’61 con strani programmi (per l’epoca): Hindemith, Prokofiev, molto Schubert, Schumann, Debussy, Scriabin… non il solito Chopin, o l’onnipresente Beethoven. E poi era discontinuo, serate ‘no’ ne ha avute molte, eppure quando sembrava essere posseduto, e questo gli capitava molto spesso, le esecuzioni che ne uscivano erano letteralmente inaudite. Basti ascoltare la Sonata di Liszt eseguita a Livorno contenuta nel box, o il celeberrimo concerto di Sofia, con i Quadri di Mussorgskij.  

Il Richter degli anni ’60 però era molto diverso da quello dei decenni successivi, e le molte registrazioni contenute nel box Universal ne testimoniano l’evoluzione. Il grande ‘colorista’ che era stato lasciò sempre più spazio ad una definizione più ‘raffreddata’ della forma, si attenne sempre di più alla definizione architettonica della partitura, e negli ultimi anni abbondarono i ritorni a Bach, a Mozart e all’ultimo Beethoven. Aveva anche inventato un vero e proprio cerimoniale di esecuzione: luci spente in sala, partitura sul piano, faretto acceso ad illuminare la musica scritta, voltapagine alle spalle. Chi ha avuto la fortuna di assistere ai concerti del maestro negli ultimi anni di vita lo vedeva entrare a passo svelto e sedersi, inforcare gli occhiali e poi nel buio totale lo spettatore poteva seguire la musica, solo quella, poco o niente era concesso all’edonismo del concerto. Eppure anche negli ultimi anni sapeva essere ancora posseduto come una baccante, e ritornare il leone che ruggiva, basti ascoltare Vers la flamme dell’amato Scriabin registrato nel 1992, inchinarsi e ringraziare.

Ma molte sono le esecuzioni da ascoltare con religiosa attenzione: il suo Beethoven molto idiomatico, le Variazioni Diabelli, forse le più strutturalistiche di sempre, analizzate col bisturi paziente del grande chirurgo, il suo poco Chopin consegnato al disco forse per troppa timidezza (e perché, confessò, che aveva troppe altre cose da suonare, Chopin è fin troppo eseguito) ma superbo, il suo Liszt degli anni ’80, addentato con piglio gladiatorio. E poi Prokofiev, di cui fu collaboratore e amico, di cui nel box abbiamo le sonate Quarta, Sesta e Ottava, che restano di riferimento assoluto, per altezza e per adesione alla visione del compositore. Haydn, a cui fu affezionatissimo e di cui esistono numerosissime registrazioni, letto con gli occhi dell’amico Prokofiev. E come passare sotto silenzio i dischi dedicati a Schubert, suo grandissimo amore, di cui anche Gould testimoniò l’eccellenza e, quasi, l’insuperabilità.

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