Se ne sta seduto in fondo alla sala del cinema Lumiere di Bologna, assieme alla moglie Maddalena, per rimirare un grande capolavoro di Carlo Mazzacurati come Vesna va veloce, che lo vide protagonista in un ruolo drammatico nel lontano 1996. Per Antonio Albanese non sembrano essere passati vent’anni. È identico al muratore Antonio del film. Giusto un po’ più folti i capelli sulle tempie, tanto che nel film una ragazza gli chiede pure se ha un pettine, e lui ‘ho smesso’. “La morte di Carlo mi ha sconvolto”, spiega prima di entrare in sala ad accompagnare uno degli appuntamenti che la Cineteca di Bologna ha dedicato al regista padovano scomparso due mesi fa, nonché suo ultimo presidente, “L’avevo incontrato due giorni prima che morisse. Ho passato le ultime 22 estati con lui in vacanza. Non posso ancora crederci che non ci sia più. Ho perso un padre”.

Raro sentirlo raccontare qualcosa di sé e del suo lavoro, Albanese non vuole addentrarsi nell’attualità del suo Cetto Laqualunque che promette 1000 euro in più all’anno come il neopremier Renzi, e si concentra sul ricordo dell’amico, del regista in un certo modo suo bonario pigmalione, che proprio in Vesna va veloce punta sull’Albanese attore drammatico, lui che aveva appena esordito al cinema con il suo Uomo d’acqua dolce e aveva giusto sfiorato il set in Un’anima divisa in due di Silvio Soldini: “Mi vide a teatro e lo colpì, come ha sempre detto, il mio ‘non essere normale’. Ho poi scelto io di recitare in Vesna va veloce perché ero affascinato dal suo cinema. In realtà prima avrei dovuto interpretare Il Toro. Poi insieme abbiamo girato La lingua del santo e sono un doppio giocatore di ping pong nel postumo La sedia della felicità. Ho lavorato con Soldini, la Archibugi, Amelio, ma lavorare con Mazzacurati era sempre più bello”.

Attento, serio e “mai fighetto” dice Albanese di Mazzacurati e ricorda come l’amico fosse uno sceneggiatore preciso e lungimirante: “Quando abbiamo girato Vesna va veloce Mazzacurati è stato il primo a raccontare questo tipo di immigrazione infettata. Ricordo ancora che molti benpensanti di Rimini, dove il film è stato girato, hanno contestato il fatto che ci fossero ragazze dell’Est a prostituirsi sul lungomare, dicevano che non era vero. Allora li guardi gli dici: ‘Buona serata, non posso fare niente per voi’ ”. O ancora: “Amavamo entrambi trattare il tema del lavoro. A fine anni novanta in un momento di grande boom economico, quando Padova e provincia esportavano come tutta l’Argentina, noi avevamo individuato quelle cose malate che hanno poi generato questa crisi spaventosa: io le ho messe nei miei spettacoli teatrali, lui nei suoi film come i due loser de La lingua del santo”.

Ecco allora il libero fluire di aneddoti da un set misconosciuto come quello di Vesna va veloce: “Giriamo di notte sulle colline romagnole la scena in cui in auto ad alta velocità investo una mucca. Dopo ore d’attesa arriva lo stuntman di 007, Remy Julienne. Vuole che salga in auto con lui per gettarci in curva su due ruote. È matto, ma Carlo mi supplica in ginocchio. Io non salgo e la scena la fanno lo stesso. Il contadino proprietario della mucca sbuca all’improvviso sul set e ignaro del trucco dell’incidente fasullo, vede la mucca narcotizzata per terra e comincia a inveirci contro con il fucile spianato: ‘Adesso non mi farà più latte per il resto della vita’. Con Carlo il divertimento era assicurato”.

Così si scopre che Mazzacurati non solo amava andare al cinema e adorava Il grande Lebowski o Fantastic Mr. Fox, ma che perfino suggeriva ad Albanese di recuperare la serie tv più politicamente scorretta del globo: Little Britain. “Con Cetto Laqualunque si divertiva molto, ma era Alex Drastico che amava più di tutti”. “Dovevamo fare un film insieme”, conclude, “un film folle dove io avrei dovuto interpretare un uomo che andava a cercare speranza, una sorta di desiderio musicale, attraversando questa Europa che in questo momento è un po’ confusa. Lo script è di diversi anni fa, la crisi doveva ancora venire. Aveva già capito tutto”. 

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