Mentre a Roma echeggia ancora la polemica sulla città collassata che non trova l’energia per rialzarsi dallo spaventoso deficit, morale prima ancora che economico, che la affligge; mentre amici francesi mi raccontano con ironia scene volgari e tristemente verosimili per noi italiani a cui hanno assistito alla Biblioteca Nazionale di Roma (quella che dovrebbe essere un fiore all’occhiello della cultura italiana…), assisto alla campagna elettorale di Anne Hidalgo, candidata sindaco di Parigi. Prima osservazione, banale ovunque tranne che in Italia, dove ancora ricordiamo il caso Kyenge: qui è naturale che una naturalizzata francese, discendente di repubblicani spagnoli e nata a sua volta in Spagna, punti alla guida della capitale francese, così come è stato naturale che un italiano di origine sia diventato sindaco di New York. L’integrazione, che da noi sembra più un oggetto di dibattito ameno per politici in pensione, altrove è una realtà consolidata.

Le elezioni si terranno tra una settimana, il 23 marzo – con eventuale ballottaggio il 30 – ma Hidalgo è decisamente in vantaggio. Soltanto un miracolo potrebbe portare all’Hotel de ville (il Municipio parigino) la candidata del centrodestra, Nathalie Kosciusko-Morizet. Del resto la più che decennale gestione del sindaco uscente Delanoë, di cui Hidalgo era l’aggiunto, ha sostenuto la crescita equilibrata di Parigi: 70mila case popolari finanziate tra il 2001 e il 2013, 71mila nuovi posti di lavoro in dieci anni, centinaia di imprese nate, crescita esponenziale della popolazione giovane, 1 miliardo di euro investito nell’innovazione negli ultimi cinque anni, diminuzione del 25 per cento del traffico automobilistico, creazione e diffusione capillare del sistema di noleggio facile ed economico di biciclette e auto elettriche – Velib’ e Autolib’ -, attrattività crescente della città per il turismo, l’economia, la cultura… Certo, i problemi non mancano (inquinamento, periferie, esclusione sociale) ma Parigi è una città in movimento, che sa attrezzarsi e soprattutto regolare la vita collettiva. E’ l’incarnazione della normalità metropolitana, in Italia praticamente ignota.

Nell’affollatissimo meeting di giovedì scorso al Cirque d’Hiver, luogo magico e tra l’altro felliniano nel cuore pulsante della città, con la nomenclatura del Partito Socialista schierata in platea, il clima era comprensibilmente euforico. Ignazio Marino, sindaco dell’unica città gemellata con Parigi, era venuto qui a portare il suo sostegno alla candidata: sostegno appassionato quanto totalmente elusivo delle forti differenze di organizzazione e di efficienza tra le due città.

Quello che mi colpisce è il fatto che nel grande cantiere di innovazione che è Parigi la cultura ha un ruolo guida: l’eccezione culturale si vive ogni giorno nella vita cittadina. Crescono i luoghi di diffusione della cultura, crescono gli addetti al comparto, si difendono gli spazi. Ovviamente la produzione culturale di Parigi non ha uguali per qualità e quantità in Europa. Ma, oltre che puntare su grandi progetti, si punta anche su piccole azioni. Per esempio si sviluppa il tessuto delle biblioteche di quartiere, preziosi gioiellini disseminati in ogni arrondissement. Oppure si difende il microtessuto culturale, fatto di piccole librerie o di cinema di prossimità: anziché accettare come una fatalità l’ecatombe delle librerie indipendenti o delle piccole sale, si difende l’identità dei quartieri salvaguardandole o addirittura aprendone di nuove, destinate a costituire un polo di socialità popolare. La differenza e la pluralità contro l’omologazione sono considerate un valore essenziale.

Caro sindaco Marino, perché queste cose che scandiscono “normalmente” la quotidianità dell’unica città gemella di Roma, nella capitale d’Italia sono cose marziane? Ci potrà regalare fra cinque o, le auguro, dieci anni lo stesso libro di bilancio con cui Bertrand Delanoë si sta congedando dai parigini?

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