“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro“, recita il primo articolo della Costituzione, articolo che sembra essere messo in discussione dai più recenti dati Istat secondo cui il 12,9 per cento della popolazione attiva, ovvero più di 3 milioni di persone, non ha un posto di lavoro.

Sollevando lo sguardo all’Europa, Spagna e Austria sono agli antipodi. La prima con un allarmante tasso di disoccupazione del 25,8%, la seconda con il primato europeo del 4,2% di disoccupati. Il caso dell’Austria potrebbe generare molta apprensione nei lavoratori italiani. In Austria l’articolo 18 non esiste, si può licenziare senza motivazione, ma al tempo stesso c’è un sistema di welfare che tutela la mobilità, basse tasse per le imprese e un sistema di alta formazione legato alle esigenze economiche.

Troppo spesso nel parlare di soluzioni all’occupazione tendiamo a considerare esclusivamente manovre socio-economiche nazionali o internazionali, legate solo al volere dei governi e alla funzionalità delle riforme legislative. Eppure ci sono piccole realtà che dimostrano come la disoccupazione possa essere sconfitta a livello locale.

Alcune risposte arrivano da paesi in condizioni peggiori dell’Italia, sia a livello economico che occupazionale, come la Spagna. In Andalusia infatti sorge una piccola comunità di neanche 3000 abitanti, che pratica una gestione urbanistica alquanto particolare. A Marinaleda, grazie alla cooperativa Humar non esiste disoccupazione e grazie all’autocostruzione le case costano appena 15 euro al mese perché, secondo il primo cittadino, la casa è un diritto, non un affare. Qui i politici non sono retribuiti e le decisioni vengono prese attraverso assemblee cittadine e gruppi di azione. Un’utopia? No, è la realtà di un comune che ha deciso di auto costruirsi secondo i propri bisogni invece che aspettare una risposta dall’alto.

In Germania invece, nei pressi di Berlino sorge la piccola comunità di Feldheim. Anche qui la disoccupazione è stata sconfitta, ma non solo, il comune è anche autosufficiente energeticamente. Queste due sensazionali notizie sono strettamente legate tra loro. In Germania gli investimenti sulle rinnovabili hanno portato ad un aumento delle tasse ma anche alla creazione di 270mila nuovi posti di lavoro e alla chiusura di diversi impianti nucleari. A Feldheim però la rivoluzione è nata dalla comunità stessa, ogni famiglia ha infatti investito 3000 euro per la creazione di un impianto energetico autonomo sfruttando vento, sole e biogas e mettendo in moto un meccanismo virtuoso che ha generato occupazione per l’intera comunità e ridotto i costi energetici.

Questi esempi dimostrano come la disoccupazione non possa essere risolta solo da fattori macroeconomici. Se ci pensate l’Italia è composta per il 70 per cento da comuni sotto i 5000 abitanti, da migliaia di comuni sotto i mille abitanti, e da centinaia sotto i duecento. Ciò significa che i piccoli comuni possono cambiare i 3/4 del nostro paese attraverso le loro politiche

Esempi virtuosi arrivano anche dall’Italia. A Capannori (LU) per esempio ci sono numerose iniziative che coinvolgono attivamente i cittadini nella gestione del territorio. Negli ultimi 20 anni i risultati sono evidenti, con una disoccupazione che dal 51 per cento del 1991 si aggira ora intorno al 5 per cento, grazie a strumenti come l’albo dei disoccupati, gli stage retribuiti, i fondi sociali, e gli incentivi per aziende che assumono disoccupati. Sono tante altre le iniziative italiane, ma solitamente si limitano a proporre stimoli economici all’imprenditoria, incentivi nazionali ed europei che spesso tornano indietro perché adocchiati con sfiducia visti i debiti della Pubblica Amministrazione.

Questo articolo non vuole generare un dibattito sulle cause della disoccupazione, ma offrire spunti di confronto concreti sulle soluzioni già realizzate con successo altrove. Esperimenti come questi dimostrano che la cooperazione e la presa di coscienza nelle comunità locali, siano entrambi motori di occupazione che le grandi manovre macroeconomiche non sempre riescono a stimolare, tendendo a considerare solo l’aspetto socio-economico e non quello culturale della disoccupazione.

Gian Luca Atzori, Maura Fancello

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