Il manuale d’istruzioni dei sindaci “incollati” alle poltrone ha da ieri una pagina in più: l’ha scritta il tribunale di Busto Arsizio (Varese) con l’ordinanza con cui ha stabilito che le dimissioni da primo cittadino di Mario Mantovani, fedelissimo di Silvio Berlusconi, eletto un anno fa consigliere regionale in Lombardia (e promosso da Roberto Maroni ad assessore alla Salute) sono da considerarsi “implicite”, anche in assenza di una formale procedura di decadenza da parte del consiglio comunale di Arconate (in provincia di Milano). Gli esponenti della lista di maggioranza di centrodestra che da tre legislature sostenevano Mantovani, hanno dunque agito secondo la legge, quando ad agosto 2013 hanno votato contro la procedura di decadenza prevista dal testo unico degli enti locali, ammettendo di non riuscire a esprimere un voto contro il proprio sindaco e contro “la volontà espressa dai cittadini alle urne”.

Non era mai successo che un consiglio comunale si limitasse “a prendere atto dell’opzione esercitata dal sindaco”, invece che votarne la decadenza e per questo il prefetto di Milano, Francesco Tronca, aveva deciso di vederci chiaro. Ai giudici della sezione civile del tribunale varesino è bastata la nota del luglio 2013, una sorta di autocertificazione, con cui l’attuale assessore regionale alla Salute aveva dichiarato di non esercitare più la carica di sindaco. Sindaco che, non essendo mai stato dichiarato decaduto, ha impedito che il “suo” Comune da 6500 abitanti in provincia di Milano fosse commissariato, con conseguenti elezioni anticipate: Arconate andrà quindi al voto a maggio 2014, come previsto dalla scadenza del mandato del “sindaco-non più sindaco”.

Di certo Mantovani non ha mai avuto troppa fretta, vincendo così la gara di resistenza nei confronti del piddino Vincenzo De Luca (dichiarato decaduto dalla carica di sindaco dal tribunale di Salerno lo scorso 24 gennaio, ma pronto al ricorso sia in Appello che in Cassazione). A più di un anno dalle elezioni regionali in Lombardia, il tema dell’incompatibilità degli incarichi di Mantovani era stato a lungo rimandato: prima interpellando il ministro dell’Interno ed ex collega di partito Alfano, poi rinunciando all’incarico di senatore (il 3 giugno 2013) e in seguito optando per la carica di consigliere regionale (il 4 luglio 2013) con scarso tempismo; infine convocando e mandando deserte (per mancanza del numero legale) alcune delle sedute del consiglio comunale in cui si discuteva della sua decadenza e chiedendo di rimanere “almeno” consigliere comunale. “Costituisce circostanza pacifica che il Mantovani abbia esercitato l’opzione per la carica di consigliere regionale nel luglio 2013, ossia in epoca anteriore al deposito del presente ricorso (25 ottobre 2013) da parte del prefetto, ndr”, ha stabilito l’ordinanza del tribunale di Busto Arsizio. Non è stata invece accolta la richiesta di danni avanzata da Mantovani perché “sussistono gravi e giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente procedimento”.

Ma ora rischia di aprirsi un nuovo fronte: forte delle preferenze ricevute alle elezioni 2013, Mantovani è tentato di candidarsi al Parlamento Europeo, ruolo che neanche a dirlo, come eurodeputato, ha già ricoperto dal 1999 al 2008. Per ora resta il veto di Maroni, che ha avvisato i membri della sua giunta: “Chi si candida a Bruxelles è fuori”. Vedremo.

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