Un freddo brivido di paura percorre la schiena dei banchieri centrali e dei grandi investitori internazionali: è il frutto velenoso di un sospetto al lungo muto che ha cominciato ad aleggiare mesi fa sulle scrivanie della finanza che conta, per propagarsi solo in questi giorni nelle cucine dei quotidiani economici.

Intendiamoci, si tratta ancora di un fantasma. E tuttavia i fantasmi si nutrono delle paure di chi li immagina, acquistano spessore e perdono la loro natura ectoplasmatica sol che chi li veda sia disposto a crederci davvero: se poi si tratta di fantasmi finanziari, la velocità di transustanziazione aumenta vertiginosamente, trasformando in un baleno i sospetti in vendite allo scoperto.

Parliamo dunque del più rilevante e attuale motivo di turbamento della comunità finanziaria globale: l’affidabilità dei dati macroeconomici sfornati dagli uffici statistici della Repubblica Popolare Cinese.

La vulgata comune attribuisce all’economia cinese doti di invulnerabilità e stabilità che mai nessun sistema-paese ha sognato di avere: tassi reali di incremento del Pil superiori al 6% l’anno da circa 25 anni, inflazione contenuta, espansione del ceto medio, consumi e mercato immobiliare costantemente al rialzo. Il tutto accompagnato a un’invidiabile stabilità del Governo, notorio frutto della repressione militare disinvoltamente esercitata dal Partito Unico: uno scenario orwelliano privo della miseria orwelliana, insomma.

Tutto bene o tutto troppo bello per essere vero? Il punto è che nessuno lo sa. E questo preoccupa molto.  

In tanti cominciano a dubitare della piena affidabilità dei dati provenienti dall’estremo Oriente: le statistiche macroeconomiche ufficiali denotano volatilità e andamenti sempre più spesso incomprensibili.

Volete un esempio pratico?

Guardate lo strambo andamento di inflazione e Pil, ad esempio:

cina-inflazione1cina-crescita2

Provate a selezionare dalla popolazione dei valori del Pil il valore più frequente (8%). A fronte di un 8% di crescita del Pil, l’inflazione cinese ha registrato nel tempo una varianza dei corrispondenti tassi d’inflazione che manco i risultati dell’Inter ai tempi Tardelli: 2,5%; 4%;-1%;1%;0%, solo per citare quelli più frequenti.

Per dirla in italiano, se nel mondo  usualmente a Pil crescente corrisponde inflazione crescente, in Cina questa inferenza è eroica e, selezionato un determinato tasso di crescita del Pil, risulta praticamente impossibile determinare una relazione  prevedibile con i corrispondenti valori d’inflazione.

Dite che non basta questo per preoccuparsi della bontà dei dati “made in China”?  

Allora vi faccio un altro esempio, questa volta puntuale e bello fresco: domenica notte è stato comunicato il dato cinese sulle esportazioni di febbraio, risultato pari a -18%; una bella botta, senza dubbio, ma la cosa più stupefacente è la differenza abissale rispetto al valore medio delle previsioni degli analisti, che era pari al 7,5%.

Ora, non è che gli analisti non possano sbagliare, ma essi pur sempre elaborano delle stime con metodi scientifici e a partire dai dati forniti dalle fonti ufficiali. Se la realtà dei fatti risulta così radicalmente differente dalle previsioni, possono darsi due casi: tutti gli analisti si sono ubriacati poco prima di elaborare le stime o la base dati (comune a tutti) è sballata.

Le autorità cinesi – prevedibilmente non aduse all’abituale democraticità del dibattito scientifico – continuano a ignorare questa fastidiosa realtà di fatto e proseguono nella pervicace pianificazione di obiettivi di crescita sempre più ottimistici.

E’ possibile che il gioco delle tre carte duri ancora a lungo e con esso l’illusione, altrettanto pervicace, degli osservatori occidentali di aver finalmente trovato l’Eldorado della crescita senza limiti: non meraviglia, del resto, che si sia ben più indaffarati a giustificare l’enorme mole d’investimenti effettuati in questi anni, che non a tentare di svegliarsi dal dolce incantesimo di un mercato (e di un credito al consumo) in continua espansione.

Potrebbe durare ancora lungo, ma non all’infinito.

Anzi, in realtà sono convinto che la festa sia già giunta al termine e che a breve uno tsunami creditizio di violenza inaudita si rovescerà sui polverosi visi dei membri del Comitato Centrale (nel frattanto intenti a decidere per decreto quanto debba ancora crescere la produttività).

Quale sarà il sisma subacqueo che genererà l’onda anomala?

E’ fin troppo facile da prevedere: un bel crack immobiliare, innescato dal credito troppo facile e dal conseguente “sboom” dei prezzi delle nuove costruzioni.

Dite che la dieta iperproteica mi sta dando alla testa? Che dovrei cambiare pusher? Che esagero e che andrà tutto per il meglio?

E allora sono costretto a vendicarmi e a lasciarvi con le immagini della stupefacente città di Ordos costruita per ospitare più di 1 milione di nuovi ricchi cinesi e rimasta, desolatamente, deserta.

Prendete nota: il prossimo disastro sarà partito da qui.

Articolo Precedente

Governo Renzi, tagliare l’Irpef è la strada giusta

next
Articolo Successivo

Le pensioni sono di nuovo il bancomat della spending review

next