L’Italia non è un paese per laureati. Almeno questo è ciò che si deduce leggendo il XVI rapporto diffuso dal consorzio interuniversitario Almalaurea, che anche quest’anno ha preso in esame la situazione occupazionale dei giovani dottori, a un anno dalla fine degli studi. La fotografia che ne esce è poco rassicurante e dipinge una generazione che, pur con una laurea in mano, fa sempre più fatica a trovare un impiego. E anche i più fortunati non se la passano bene: sono costretti a fare i conti con contratti sempre più precari e con stipendi in calo rispetto agli anni scorsi.

Lo studio ha coinvolto quasi 450mila laureati post-riforma, iscritti a tutti i 64 atenei aderenti al consorzio. Si tratta sia di persone con il laurea triennale e specialistica (intervistati dopo un anno), sia di laureati con ciclo quinquennale (intervistati dopo cinque anni). I dati emersi parlano di una crisi occupazionale che non risparmia nessuno, e di un mercato del lavoro che non riesce ad assorbire nemmeno le persone più qualificate. Bastano alcuni numeri per capirlo: a dodici mesi dal conseguimento del titolo, il tasso di disoccupazione tra i laureati triennali (non iscritti a un altro corso universitario) è cresciuto, rispetto all’anno precedente, di oltre tre punti percentuali, passando dal 23% al 26,5%. Più ridotto l’aumento della disoccupazione tra i laureati con titolo magistrale: in questo caso i disoccupati sono saliti dal 21% al 23%.

Va considerato poi che tra i laureati triennali del 2012, il tasso di occupazione, a un anno dall’uscita dall’università, è dell 66%. Ossia quattro punti in meno rispetto a quello degli ex studenti dei corsi magistrali, che invece è fermo al il 70%. “Nella fase di ingresso – si legge nella sintesi dello studio – tutti i giovani italiani, laureati inclusi, incontrano difficoltà maggiori che in altri paesi. Per altro verso, nell’arco della vita lavorativa, la laurea continua a rappresentare un forte investimento contro la disoccupazione anche se meno efficace in Italia rispetto ad altri paesi”. Guardando al passato, si capisce come la situazione sia precipitata nel giro di poco tempo. Solo nel 2007 i numeri erano molto diversi. Il livello di disoccupazione, ad esempio, era la metà rispetto a oggi. Mentre nel 2008 i neodottori in cerca di lavoro si fermavano al 15,1% per i laureati di primo livello, e al 16,2% per quelli del secondo.

Ma anche chi riesce a trovare un impiego non vive di certo un momento fortunato. La stabilità è quasi un miraggio. Tra i laureati triennali solo il 26,9 % ha un contratto a tempo indeterminato. Percentuale che scende al 25,7% tra i magistrali e al 12,6% per quelli del ciclo unico. Più che un calo si può definire un vero e proprio crollo: dal 2008 si sono persi 15 punti percentuali per i triennali, 8 per i magistrali e 5 per gli ex studenti dei corsi a ciclo unico. Nell’analisi si registra poi un aumento del 5% in 5 anni degli impieghi senza regolamentazione, mentre il nero coinvolge 8 laureati su 100 per quanto riguarda i triennali, 9 su 100 tra i magistrali e 13 su 100 tra coloro che hanno preso una laurea a ciclo unico.

Non va meglio se si apre il capitolo retribuzioni. A 12 mesi dal titolo, gli stipendi superano a fatica la media dei 1000 euro netti mensili. E anche la forbice tra i laureati di primo livello e quelli di secondo è minima. Nello specifico: 1003 euro per i giovani con laurea triennale (-5% rispetto all’ultima rilevazione), 1038 per quelli con laurea magistrale (-3%). Cifra che scende a 970 per gli universitari del ciclo unico (-6%). Per tutti il dislivello (considerato anche il costo della vita) è di almeno -20 punti percentuali in 5 anni.

Ma a preoccupare è anche il dato sui giovani che decidono di intraprendere un percorso di studi universitario. Prendendo in considerazione i diciannovenni neodiplomati, solo 3 su 10 si iscrivono a un ateneo. Un numero che ci allontana in dall’obiettivo fissato dalla Commissione Europea per il 2020, ovvero il raggiungimento del 40% di laureati nella popolazione tra i 30 e i 34 anni. “La documentazione Ocse indica che nel 2012 l’Italia si trovava agli ultimi posti per la quota di laureati sia per la fascia d’età 55-64 anni sia per quella 25-34 anni” rivela lo studio. “D’altra parte le aspettative di raggiungere l’obbiettivo fissato dalla Commissione Europea per il 2020 sono ormai vanificate per ammissione dello stesso governo italiano. Il quale ha rivisto l’obiettivo che più realisticamente si può attendere il nostro Paese raggiungendo al massimo il 26-27%. Stiamo rischiando di perdere ulteriore terreno e energie straordinarie”.

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