Matisse, parla la figura. È attraverso un percorso che si snoda lungo la raffigurazione del corpo, soprattutto femminile, che Palazzo dei Diamanti a Ferrara offre un omaggio a Henri Matisse. Un omaggio raro, composto di oltre cento opere – tra pitture, disegni e sculture – giunti da musei e collezioni private di ogni parte del mondo e che sarà visitabile fino al 15 giugno. La mostra “Matisse, la figura. La forza della linea, l’emozione del colore” già a partire dalla prima sala, che espone le prove accademiche, “testimonia – come spiega la curatrice Isabelle Monod- Fontaine, già vicedirettrice del Centre Pompidou – attraverso il nudo la prima ostinata ricerca di una forma da assegnare a vuoti e proporzioni”.

Dalle prove giovanili si arriva al periodo degli ‘anni folli’, fino alla “deformazione espressiva – come la definisce Monod-Fontaine – e quelle macchie di colore puro acquisite lavorando fianco a fianco con André Derain” e testimoniata dal famoso ritratto all’amico pittore fatto giungere dalla Tate Gallery di Londra. Il tocco di Matisse si arricchisce via via di influenze, dovute a maestri del passato e del presente, e arriva ad avvicinarsi al suo stile definitivo. Pietra miliare in questo passaggio è il “Nudo disteso”, dove il ricordo del’Aurora di Michelangelo si assottiglia sotto lo scalpello del maestro francese. “Le caratteristiche formali del corpo femminile sono enfatizzate al massimo, fino alla deformazione della struttura, per cui la vita diviene sottilissima, mentre il torso, le braccia e le natiche assumono dimensioni imponenti”. Si arriva così di fronte a quelle che la curatrice battezza “tre pietre miliari del 1909”: il bronzo “La serpentina”, dove il vuoto diventa forma, la tela “Nudo con sciarpa bianca”, provenienti dallo Statens Museum for Kunst di Copenaghen, e la “Bagnante” del Museum of Modern Art di New York, opere che testimoniano “uno dei più alti raggiungimenti matissiani, nell’arabesco dei corpi capace di interpretare le contrastanti aspirazioni all’espressività e all’armonia”.

Vengono quindi le tele dietro le quali si celano volti – ormai scomposti nella sintesi cromatica – e nomi. Di musa in musa, di modella in modella, Matisse si lascia sedurre da nuove tecniche di luce e di colore. Dalle “Ragazze in giardino” (tributo alla Costa Azzurra e alle riscoperte di Ingres e Renoir) all’“Odalisca con i pantaloni grigi” (con influenze di Gauguin), alla “Ninfa nella foresta” l’allestimento illustra i vari passaggi, e i vari innamoramenti artistici del maestro di Le Cateau- Cambrésis, fino a quello poetico del Mallarmè di un “Pomeriggio di un fauno”, la cui lettura ispirò capolavori come “Natura morta con donna addormentata”. A chiudere la retrospettiva su uno dei più celebrati artisti della prima metà del Novecento sono le “testimonianze della stupefacente vitalità e dell’inesauribile forza d’immaginazione dell’ormai anziano e malato maestro”.

Come la “Giovane donna in bianco, sfondo rosso”, icona della mostra, o “Interno blu con due ragazze”, o ancora opere rivoluzionarie come il celebre libro Jazz e la serie degli Acrobati. È qui che Matisse inventa la tecnica delle gouches dècoupèes: “Ritaglia forme e motivi da fogli di carta dipinti con colori puri e brillanti per poi assemblarli attraverso il collage. Creazioni che incarnano l’essenza dell’arte di Matisse, capace con pochi segni di toccare le corde più profonde dell’animo e di infondere un senso di perfetta armonia, esercitando una straordinaria influenza sugli artisti del suo tempo e delle generazioni a venire”.

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