Scordatevi il solito documentario con i primi piani fronte macchina da presa, la luce modello tv e un filo narrativo legato ad una tesi precostituita in partenza. Per vedere “Muro Basso”, il film sulle terre confiscate alla mafia, girato dai laureati Dams di Bologna Enrico Masi e Stefano Migliore – il 7 marzo 2014 in anteprima al cinema Odeon -, bisogna prendersi una pausa dalla frenesia del mondo esterno e instaurare un rapporto di fiducia nella libertà ed indipendenza di sguardo dei due autori.

Il casolare Cascina Caccia sequestrato alla famiglia Belfiore a S. Sebastiano Po in provincia di Torino; l’Area Millepioppi a Salsomaggiore Terme (Parma), ex proprietà di un usuraio; e l’ex villa del cassiere della Sacra Corona Unita, Villa Santa Barbara, in provincia di Brindisi, sono i tre spazi su cui fluttua e si sofferma l’occhio cinematografico di Masi e Migliore per 60 minuti di film. Qualche piccola didascalia in funzione storico-cronachistica per ricordarci che fu Pio La Torre, il deputato Pci ucciso dalla mafia, a suggerire l’introduzione della norma che prevedeva la confisca dei beni ai mafiosi, e che John Ruskin fu il primo a parlare di decrescita felice nel 1900, per poi seguire tutti quegli uomini, donne, soprattutto adolescenti che stanno facendo rivivere questi luoghi con la loro presenza fisica, il loro lavoro nei campi e tra gli animali in cattività, il loro impegno civile declinato al singolare: “Mi dà una certa libidine scendere dal Nord per venire a lavorare in questo territorio confiscato”, racconta un ragazzo lombardo in trasferta a Villa Santa Barbara.

Anche se è Ciro, l’ex tossicodipendente che lavora tra api, capre e galline nella Cascina torinese dei Belfiore, a tessere una sorta di sottile etica della presenza in scena, dimostrando come sia possibile rifondare ed esplorare continuamente un luogo in cui si macellavano le bestie e si percorreva l’abisso del male: “Questa è la generazione antimafia figlia degli eroi”, spiegano i registi, “di persone che lavorano sui beni confiscati alle mafie, spazi convertiti nei quali diventa cruciale l’intervento attivo della comunità. “Muro Basso” percorre un’Italia che sembra composta da isole, nella quale prende corpo e cresce l’impegno delle generazioni nuove, dove ci sembra di vedere un piccolo Rinascimento, di essere testimoni di una rivoluzione lenta. Per noi è la seconda generazione del senso civico”.

Difficile allora che la linea di osservazione rispetti il canone espressivo più banale. Anche Don Ciotti e Fiorella Mannoia, sfuggenti frammenti di una manifestazione di Libera, non appaiono come comparsata da show dell’antimafia, ma diventano tracce della percezione di un senso di collettività che proprio grazie allo sguardo cinematografico assumono una vitalità inattesa: “Muro Basso fa parte di un lungo percorso di 6,7 titoli (Masi e Migliore sono autori, tra gli altri, di The Golden Temple ndr) dove abbiamo affrontato i temi della ricerca di stile e linguaggio. Il tema era così forte che era forse più giusto ‘sporcare’. Abbiamo cercato di togliere in modo coerente e consapevole al nostro film la mondanità da festival”.

E in questo lavoro di antropologia visuale emerge un elemento sostanziale che accomuna in modo bizzarro mafia e antimafia: il filtro del sacro, la dimensione della religione cattolica usata da un lato come supporto alto al delinquere (le cappelle, i crocifissi, le bibbie ritrovate nelle case confiscate), preti e papa Wojtyla a lanciare anatemi contro i delinquenti: “La presenza invasiva di oggetti sacri era sia nel Piemonte secolarizzato che nel Sud ipercattolico. Difficile evitare queste figure carismatiche, avremmo potuto ometterle ma non saremmo stati rispettosi del vero. Parliamo di un substrato culturale comune imprescindibile. Pensate che la ragazza reggiana dell’Arci che abbiamo ritratto mentre lavora al Millepioppi di Salsomaggiore ascolta tutto il giorno Radio Maria. Si va verso l’avvicinamento di Moro e Berlinguer, di questo si parla”.

Infine come fil rouge tra passato e presente lo storico confronto tv tra il boss Luciano Leggio ed Enzo Biagi: “Dal loro dialogo si crea il quarto spazio confiscato alla mafia, la sospensione della memoria”. “Muro Basso” è prodotto dalla factory bolognese Caucaso, in collaborazione con Libera, Gruppo Abele, ma soprattutto grazie a una ricerca nata in seno al dipartimento di scienze dell’educazione dell’Università di Bologna.

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