Dopo Sicilia, Roma, Friuli, Sardegna è ormai acclarato che metà degli elettori non va a votare (ho già scommesso da tempo che alle prossime europee si arriverà al 60%). Tra i votanti, una percentuale variabile ma comunque molto alta sceglie il Movimento 5 stelle, che si qualifica come “antisistema” e sceglie di non partecipare alle dinamiche che portano alla formazione del governo.

Se togliamo anche coloro che non hanno diritto al voto, i minori, le schede bianche e nulle, ne consegue che è si e no un quarto della popolazione a scegliere tutte le forze che, tra quelle di maggioranza e quelle di opposizione così ben confuse tra loro, detengono il potere di decidere le sorti del Paese.

Il principio della sovranità popolare è sostituito da qualcos’altro che non possiamo chiamare “casta” se non vogliamo incorrere nel linciaggio che tutti i media e tutte le forze politiche, con particolare accanimento quelle più a sinistra, operano su tutto ciò che sa di grillismo. Allora utilizziamo, per spiegare il fenomeno, la più forbita categoria delle “oligarchie” cara al professor Zagrebelsky.

Siamo bloccati da gruppi ristretti che si sono spartiti il potere a tutti i livelli, da quello politico-istituzionale alle università, partiti e sindacati, gruppi bancari e imprenditoriali, stampa, cinema, vertici delle federazioni sportive, musica. Dovunque troviamo sempre gli stessi personaggi, ben assiepati a difesa (sono fisiologicamente conservatori) delle rendite di posizione acquisite negli anni. Per usare una metafora calcistica, siamo inguaribilmente catenacciari.

La televisione è lo specchio più fedele di quest’Italia che si auto-alimenta. La sfilata di vecchie glorie vista a Sanremo la scorsa settimana ha reso evidente l’ibernazione in cui viviamo da vari decenni. Ma la cosa più scandalosa è l’oscuramento quasi totale che c’è stato nei giorni della crisi e formazione del nuovo governo: vicende che, piaccia o meno, rivestono un’importanza fondamentale per le nostre istituzioni. Non è andato in onda quasi nessuno di quei programmi di approfondimento su questi temi che, a volte, devono inventare di sana pianta inchieste per fare audience. Ora che c’era da raccontare e commentare fatti veramente rilevanti, tutte le reti hanno scelto di mandare in onda film di serie B alla ennesima replica, per non disturbare un festival di canzonette.

In tal modo non solo si pregiudica quello che dovrebbe essere il servizio pubblico, ma quello che emerge ancora una volta, per chi non se ne fosse ancora accorto, è la mancanza di concorrenza tra le varie reti. Tutti fermi, a subire il più potente anestetico della coscienza collettiva. Poi si finge meraviglia del calo dei numeri. Di telespettatori come di elettori.

Di fronte a questa situazione di stallo il governo Renzi irrompe con un’infornata di facce nuove, giovani, per metà donne. Si vedrà presto se il cambiamento di colui che si è fatto conoscere come “rottamatore” è solo di facciata e se riemergeranno i metodi, gli interessi e gli equilibri di sempre.

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