La Tarma, all’anagrafe Marta Ascari, giovane artista reggiana di 24 anni, ci ha sorpreso con Antitarma, album ricco di sfumature, dinamico, arzigogolato ma allo stesso tempo orecchiabile. In attesa di vederla l’8 marzo al circolo Arci Angolo B di Bologna, abbiamo fatto due chiacchiere con lei per capire com’è nato e dove vuole arrivare questo suo primo lavoro in studio.

Pubblica il suo primo album con “Qui Base Luna”, etichetta che si definisce un ecosistema interdipendente. Com’è nato l’incontro?
È nato tutto nel 2010, grazie a Cristina Donà. Una sera, ad un suo concerto, le ho dato la mia demo. Dopo una settimana mi ha messo in contatto con il suo il manager Gianni Cicchi – è stata davvero carinissima. Con Gianni, col tempo, facendogli sentire come scrivevo e arrangiavo, abbiamo ragionato su cosa potessimo fare insieme finché non mi ha proposto “Qui Base Luna”. Insomma, è andata bene alla prima, vedremo cosa ci riserva il futuro.

Antitarma è un lavoro particolare con diversi riferimenti, dal pop al rock passando per la classica. Qual è il suo background musicale e quali i riferimenti attuali?
L’impronta rock è frutto dell’incontro tra me e il produttore e arrangiatore Lanza. Nella fase di scrittura, quando sono sola, tendo ad avere un suono più cupo ed elettronico, la vena rock di Lanza ha ingrandito il suono. A quindici anni mi sono innamorata di Battiato; oltre a lui, di musica italiana non ascolto molto. Ho ascoltato tanto Tory Amos, Bjork e nutro un amore fortissimo per Cure, Depeche Mode, Kate Bush e in generale per il sound anni ’80. Ora come ora mi appassionano gruppi elettronici come Cristal Castle, Lali Puna e Daughters (recentemente a Bologna hanno fatto un concerto meraviglioso).

Attualmente studia musica elettronica applicata al Conservatorio di Bologna, quanto dei suoi studi si è riversato in Antitarma?
Poco penso, non analizzo quello che scrivo, sono molto istintiva. Scrivo arrangiando direttamente col computer. Abbozzo dei synth, delle idee di piano che ancora non sono la melodia principale, costruisco prima l’ambiente, il mondo sonoro, la tessitura e solo alla fine inserisco la parola. La parola, per me, ha prima di tutto un significato ritmico, mi piace rispettare la metrica facendo attenzione agli accenti; ne faccio un discorso strumentale. Il senso arriva dopo, è traghettato dal suono, dall’estetica della parola. Forse, i miei studi arrivano solo in fase di produzione.

Nel primo singolo, Icastica, parla dell’amore tra due donne. In Zenone il protagonista è omosessuale.
Io penso che l’amore, inteso come condivisione, sia sempre legittimo. In questo momento storico e culturale, specialmente in Italia, se qualcuno ha strumenti per manifestarsi a favore dell’apertura penso faccia bene ad usarli. Dobbiamo svecchiarci, siamo eccessivamente statici. Penso sia ora di dar voce anche a queste cose; non per far propaganda, perché ognuno possa fare quello che vuole.

Il suo album è pieno di “riferimenti alti”, da Dostojevskij a Yourcenar fino a Pirandello. Non teme che possano allontanarla dal “grande pubblico”?
Se allontana o avvicina lo potrò dire più avanti. Mi piace però l’idea che si possa fare come con le scatole cinesi: se uno coglie il riferimento bene, altrimenti ci sono altri piani comunicativi su cui potersi soffermare. Non penso di essere pretenziosa, cerco di fare musica pop, orecchiabile. Il fatto che siano presenti “sfaccettature altre”, non credo tolga nulla alla musicalità. Non voglio per forza raccontare qualcosa, le mie sono solo suggestioni che arrivano da letture o esperienze.

Guarda Sanremo?
Lo guardo criticamente e con speranza, ci sono affezionata, sin da quando ero piccola. Nel 2001 ero rimasta colpita da Elisa. Quest’anno speravo molto nella canzone di Arisa scritta con Lanza e la Donà. Abbiamo anche provato ad andare a Sanremo con Zenone, ma non ha funzionato. Non so bene come sia andata, semplicemente non c’è stato feedback… vai a capire; sono meccanismi difficili, c’è tanta concorrenza.

I testi sono stati scritti tutti con Silvia Bertolini. È stato complicato questo lavoro a due?
Se ci si mette in gioco fino in fondo, ogni collaborazione è complicata. C’è stato un confronto importante: solitamente Silvia scrive una bozza in prosa da cui io, con in testa un ritmo, attingo per scrivere un verso metrico e così, un po’ discutendo e procedendo per compressi, si è arrivati a fare i testi di Antitarma.

Reggio Emilia, sua città di origine, è stato un ambiente stimolante dal punto di vista artistico?
A Reggio ho fatto pochi, ma illuminanti incontri: il mio grande maestro di musica delle medie che faceva suonar di tutto tranne il flauto dolce e la mia maestra di canto Navid Mirzadeh di origini iraniane, dopo tanti anni studio ancora con lei.

Ha arrangiato Antitarma insieme a Saverio Lanza, importante produttore, autore e strumentista italiano. Com’è stato lavorare con lui?
Ci siamo amati e odiati. Nella mia inesperienza, avevo comunque l’ostinazione di continuare a proporre le mie visioni mentre lui cercava di far valere le sue, di produttore. Discutendo e provando ho imparato da lui tantissime cose . È stata una grossa fortuna lavorare con lui. Un conto è scrivere per te, altro è sapere di essere all’interno di schemi, regole e – si potrebbe dire – una tradizione. Mi ha insegnato tanto. Spero di ripetere l’esperienza.

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