Togliere e mettere pannoloni, alzare il disabile dal letto, pulirlo, lavarlo, preparagli da mangiare. Ma anche, semplicemente, fargli compagnia. E’ questo il lavoro di 150 operatori dell’assistenza domiciliare a Napoli, un lavoro che molti di loro hanno già perso e che altri temono di dovere lasciare nel giro di poco tempo. In gioco non c’è solo l’occupazione di questi lavoratori, ma anche la salute delle duemila persone, tra disabili e anziani, di cui si prendono cura.

“Si tratta di soggetti deboli anche a livello economico, con una pensione di 400-500 euro, che non possono permettersi una badante”, precisa Salvatore Massimo, segretario provinciale Fp-Cgil. A occuparsi di loro sono “150 operatori che da 15 anni lavorano nello stesso settore, anche se passano spesso da un gestore a un altro”, spiega Roberto Valestra, dipendente della cooperativa Accaparlante. “Di queste 150 persone, 70 sono senza occupazione da due mesi. Gli altri 80 stanno affrontando la terza procedura di mobilità nell’arco di nove mesi: abbiamo già ricevuto le lettere di licenziamento ed entro la fine di marzo non avremo più un lavoro”. Questi operatori sono assunti da una serie di cooperative sociali, che a loro volta ricevono in appalto questi servizi dal Comune di Napoli. E qui nascono i problemi. “Abbiamo cominciato a lavorare il 1 ottobre 2012 e non abbiamo ancora ricevuto un centesimo dal Comune”, fanno sapere dalle cooperative. “Eppure abbiamo pagato tutti gli stipendi ai nostri dipendenti”.

Data la mancanza di fondi, già a luglio le aziende avevano aperto le procedure di licenziamento. A quel punto, palazzo San Giacomo aveva garantito di emettere certificazioni di credito necessarie per ottenere finanziamenti dalle banche. “In questo modo, il Comune ci aveva convinto a sospendere le procedure di licenziamento già avviate”, spiegano le cooperative. Ma queste certificazioni non sono mai arrivate, come del resto il pagamento degli arretrati, e gli istituti di credito hanno chiuso i rubinetti. Costringendo tutte le cooperative a rinunciare agli appalti.

E i disabili napoletani non corrono il rischio di essere abbandonati a se stessi solo a casa, ma anche a scuola. Anche le cooperative che gestiscono l’assistenza scolastica nelle scuole materne e superiori partenopee, infatti, si trovano in una situazione analoga: niente pagamenti da mesi, niente certificazioni di credito, procedure di licenziamento avviate. E, in questo caso, i lavoratori iscritti a Cgil e Uil hanno sospeso il servizio da lunedì 17 febbraio, mettendo di fatto i ragazzi nella condizione di non potersi presentare a scuola. Gli operatori dell’assistenza domiciliare e scolastica si sono così trovati, il 18 febbraio, a manifestare davanti al Comune per chiedere una soluzione.

Insieme a loro c’erano gli attivisti di “Tutti a scuola”, associazione che riunisce i genitori di studenti disabili. “Mi chiedo se, a nostra insaputa, a Napoli siano state revocate la Costituzione e il diritto allo studio”, argomenta Toni Nocchetti, un genitore dell’associazione. “Da mercoledì 19 febbraio porteremo due ragazzi disabili al sindaco e al vicesindaco, per ricordare loro che non possono andare a scuola”. Dal Comune, per ora, non arrivano risposte concrete per risolvere la situazione, complice una crisi finanziaria che sta portando Napoli verso il dissesto. “Paghiamo lo scotto dei tagli al sociale da parte del governo, dei mancati trasferimenti regionali e della mancata approvazione, da parte della Corte dei Conti, del piano di riequilibrio predisposto dal Comune”, si giustifica Roberta Gaeta, assessore alle Politiche sociali. “Avevamo fatto una programmazione coinvolgendo anche le banche, ma la decisione della Corte ha sconvolto i nostri piani. In questi giorni stiamo incontrando le cooperative, affronteremo un nuovo piano d’emergenza”.

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