Si assiste a un suggestivo e in parte comico ribaltamento della realtà leggendo i giornali che commentano le “prodezze” di Beppe Grillo, al quale ieri non è parso vero di strapazzare (e il verbo è per difetto) un premier designato che era diventato tale dopo un megacolpo di Palazzo, e che per di più negli anni precedenti aveva esibito la sua totale, rocciosa, inscalfibile, distanza da una pratica siffatta. La definiva fantascienza politica, sappiamo tutti bene come è finita. Era persino elementare che un leader come il comico genovese avrebbe sfruttato la questioncella come farebbe un bambino di fronte allo zucchero filato che si sta magicamente arrotolando intorno al bastoncino: sognando di divorarlo. Cosa che è regolarmente accaduta, cosa che ha regolarmente prodotto un rigurgito di inevitabile finto moralismo per quei modi così sgarbati, ineleganti, maleducati.

Qual è la sostanza delle lamentazioni di lorsignori? Il fatto che la Rete, la democraticissima Rete, avesse imposto l’incontro a Beppe Grillo a suon di numeri, di voti espressi via web, di raccomandazioni internettiane ad “andare a vedere” il punto dell’avversario come in una partita di poker. Se non ricordo male, questo orientamento aveva superato l’altro, quello di lasciare Renzi nel suo brodo, di 456 voti. Il dio web, dunque, metteva la sua manona sulla testa di Grillo e gli imponeva il viaggio Genova-Roma che lui si sarebbe volentieri risparmiato, considerandolo un’autentica perdita di tempo.

A questo punto, assistiamo al ribaltamento della realtà. Gli stessi commentatori, analisti, filosofi del pensiero, che nei mesi precedenti avevano considerato la democrazia web del Movimento 5 Stelle una pratica da sbellicarsi dal ridere, valutando come punto più alto (o più basso) l’episodio delle Quirinarie, che avrebbero dovuto definire il nuovo capo dello Stato con qualche migliaio di clic, ecco, quegli stessi commentatori, oggi si indignano perché Beppe Grillo non ha ascoltato il suggestivo e democratico richiamo della Rete che gli imponeva comportamenti politici molto più improntati alla bonomia e al dialogo. Sebastiano Messina sulla Repubblica ne è un esempio palmare quando scrive: “Diceva la verità Beppe Grillo quando ha gridato in faccia a Matteo Renzi “io non sono democratico!”. Non solo perché non lo ha lasciato parlare neanche per un minuto – e stavolta non è un modo di dire – ma perché con il suo comiziaccio in streaming ha beffato, più del Presidente incaricato, quella maggioranza dei Cinque Stelle che nel referendum lampo del giorno prima gli aveva chiesto di andare alle consultazioni. Non per rovesciare una valanga di insulti su Renzi ma per sentire cosa ha in mente e magari per proporgli qualcosa di buono da fare”.

Dobbiamo metterci d’accordo, allora. E lo dobbiamo fare in tempi relativamente rapidi, in modo da non contraddirci, noi giornalisti, in tempi che rasentano la schizofrenia. Dobbiamo capire quale peso vogliamo dare intanto alla Rete in sé e, stabilito questo, che peso vogliamo dare alla Rete applicato alla politica di Beppe Grillo e del suo Movimento. In modo da non considerarlo, lui, Beppe Grillo, antidemocratico a corrente alternata.

E poi l’ultima domanda, ma rispondetevi sinceramente; avevate davvero immaginato un Grillo diverso rispetto a quello arrogante, maleducato, spregiudicato, sarcastico, irridente, corrosivo, ma sufficientemente vero, che è andato in onda su tutti i nostri computer?

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