Campagna elettorale lunga non paga. O meglio, non basta. Di certo non in Sardegna dove il voto per il presidente della Regione e per il rinnovo del Consiglio incorona il candidato del centrosinistra, Francesco Pigliaru. Il suo nome è diventato ufficiale solo il 6 gennaio quando la corsa era già diventata frenetica per i suoi principali avversari: il governatore uscente Ugo Cappellacci per la coalizione di centrodestra e la scrittrice Michela Murgia per “Sardegna possibile”, novità che non ha avuto successo.

Pigliaru ha accettato la nomina da una direzione Pd già provata per sostituire la vincitrice delle primarie, l’eurodeputata Francesca Barracciu, perché indagata nell’inchiesta bis dei fondi ai gruppi regionali (sono coinvolti più di 60 consiglieri a cavallo di due legislature). Un compito non semplice quindi per l’economista sassarese, professore universitario a Cagliari, e già componente della prima giunta Soru, abbandonata per duri screzi con il presidente. Già in tarda mattinata la tendenza era chiara: prima un testa a testa tra i rappresentanti dei due poli e poi il distacco diventato sempre più stabile attorno ai 5 punti percentuali. A metà pomeriggio la conferma con la telefonata di congratulazioni di Cappellacci a Pigliaru, con i risultati di circa metà delle 1836 sezioni. E poi, subito dopo, quella del segretario del Pd, Matteo Renzi

I cinque anni della giunta Cappellacci non hanno quindi convinto i sardi: né la revisione last minute del Piano paesaggistico a due giorni dal voto, né la promessa di una Sardegna-paradiso fiscale con la “zona franca d’Europa“. I dati sono arrivati con estrema lentezza dai seggi isolani: ai soliti disguidi si è aggiunta una procedura più complicata. Criteri rigidi e l’intoppo delle timbrature della sezione sull’unica scheda lenzuolo.

Il risultato è frutto di un voto praticamente dimezzato: quello di un sardo su due. L’affluenza è del 52,23% degli elettori (in tutto 1.480.409), un calo del 15 % rispetto alle ultime regionali del 2009 in cui aveva vinto Cappellacci. Un dato sconcertante anche se questa volta le urne erano aperte solo per un giorno, a differenza della passata consultazione.  

A pesare anche l’assenza del Movimento 5 Stelle che a gennaio non è riuscito a presentare una lista nonostante i buoni risultati ottenuti alle politiche di un anno fa. Il leader Grillo non ha infatti concesso il simbolo alle fazioni divise; quindi una fetta importante è rimasta orfana, senza rappresentanza. E non ha accordato fiducia nemmeno al progetto di Michela Murgia. Più probabile, come annunciato tempo fa dai vertici nazionali, un non voto.

Terzo posto, ma decisamente distanziato appunto, per Murgia. Per lei e le tre liste che formano la coalizione (due civiche, più il partito indipendentista Progres) niente da fare per via del voto disgiunto e per effetto della nuova legge elettorale. Di certo la candidata, che ha raggiunto il 10,3 per cento, non entrerà nella nuova Assemblea sarda. E nemmeno gli aspiranti consiglieri: lo sbarramento per la coalizione è infatti al 10%, le liste che la sostengono si attestano (secondo i dati in possesso) al 7 per cento. Questo nonostante la buona visibilità mediatica e la sua fama da scrittrice impegnata. Dallo staff si dicono comunque “moderatamente soddisfatti”. Nessun commento, per ora, dalla vincitrice del Premio Campiello, solo un post apparso sulla sua pagina Facebook con un “Grazie” siglato su un’immagine, a cui seguono vari commenti di incoraggiamento.

Fuori dai giochi anche gli altri candidati in corsa: la coalizione Unidos del deputato ed ex presidente della Regione, Mauro Pili, si ferma al 5 % circa. Seguono l’indipendentista Pier Franco Devias del Fronte Unidu Indipendentista con l’1% e Gigi Sanna con il Movimento Zona franca, appena lo 0,75 per cento: entrambi avrebbero dovuto superare il 5 per cento, in quanto singoli. Il nuovo consiglio regionale conterà 60 rappresentanti (e non più 80) ed è previsto il premio di maggioranza per l’attribuzione dei seggi. Con effetti sulla governabilità. Se il presidente supera il 40 per cento dei consensi, come in questo caso, avrà il 60% dei seggi. Tradotto in numeri: 36 consiglieri su 60. Rassicurante, ma non troppo.

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