Cinquantatre milioni di euro, da dividere – con percentuali diverse – tra gli ex amministratori della Regione Campania e le aziende che hanno gestito la depurazione. In cima alla lista della procura della Corte dei conti – che ha chiesto il blocco dei conti correnti alla Guardia di finanza – c’è l’ex governatore Antonio Bassolino, chiamato a rispondere per il 20% della cifra, pari a circa 10,6 milioni di euro. C’è poi l’ex assessore all’ambiente Walter Ganapini – ambientalista storico, con un passato a capo dell’agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente – che risponde per 2,6 milioni di euro e l’ex dirigenza dell’Arin. la società che gestisce l’acqua di Napoli, ripubblicizzata un anno fa dalla giunta de Magistris: Maurizio Barracco, ex Ad, e Francesco Panico, con 3,7 milioni di euro ciascuno di presunto danno erariale. Chiamata in giudizio è anche la società che ha gestito il sistema di depurazione fino a pochi mesi fa, la Hydrogest spa, che deve rispondere per 10,6 milioni di euro.

La contestazione della procura della Corte dei Conti arriva dopo un’accurata indagine delegata alla Guardia di finanza sul sistema di depurazione delle province di Napoli e Caserta. L’affidamento dell’appalto – avvenuto durante il governo Bassolino – si basava sul sistema del project financing. Per i magistrati contabili il vero affare lo avrebbe realizzato solo la società vincitrice, grazie ad un sistema che garantiva il pagamento automatico del servizio da parte della regione Campania. Quel tipo di affidamento – scelto nel 2002, quando Bassolino svolgeva anche il ruolo di commissario straordinario all’emergenza rifiuti – era stato sconsigliato dal Cipe, vista “la complessità del sistema depurativo”, spiega il nucleo tributario della Guardia di finanza. Nonostante il parere negativo, nel 2003 l’appalto viene aggiudicato alle società Termomeccanica Ecologia e Giustino Costruzioni, poi confluite in Hydrogest. Il piano economico prevedeva un investimento di 120 milioni di euro da destinare all’adeguamento del sistema fognario e di depurazione della regione Campania. In cambio il raggruppamento di società di era aggiudicata la gestione dei canoni per le acque reflue, “per un volume di affari stimato in oltre un miliardo di euro”. Qualcosa, però, non ha funzionato: per la Guardia di finanza su quella gestione hanno pesato “significative anomalie”.

In sostanza – spiega la Procura della corte dei conti – il rischio imprenditoriale alla fine gravava solo sulla regione Campania e la stima del “ricavo garantito” sarebbe risultato abnorme. Secondo la ricostruzione della Procura, la Hydrogest non avrebbe attivato le procedure per riscuotere i canoni dai gestori idrici, avendo la certezza di ricevere in ogni caso i soldi dalla regione. Non solo. Nell’accordo con l’Arin – il gestore dell’acquedotto di Napoli – ha concesso un aggio sulla riscossione “nettamente superiore ai limiti imposti”, pari al 20%.

Il peggio, però, doveva ancora venire. Quando nel 2010 la regione ha rescisso il contratto, gli impianti sono stati riconsegnati “in uno stato peggiore” rispetto al 2006. Emblematico è il caso – riportato nella richiesta di risarcimento danni notificata oggi dalla Procura – di Caserta: secondo i magistrati l’acqua che usciva dagli impianti risultava più inquinata rispetto ai reflui fognari in entrata. Nonostante questo la Hydrogest ha mantenuto la gestione degli impianti fino al 2012, quando è stata sostituita dalla gestione commissariale. In alcuni casi – spiegano i magistrati – la società avrebbe “cannibalizzato” pezzi di ricambio per risparmiare i costi di manutenzione. Con un impatto sull’ambiente pesante, come sottolineano i magistrati contabili: “Non è stato migliorato dal punto di vista del funzionamento nessuno degli impianti – si legge nella notifica – provocandone viceversa il netto peggioramento dello stato di taluni di essi”. Una gestione che, tra l’altro, avrebbe poi aumentato i costi degli impianti.

Dopo la notifica del provvedimento la Guardia di finanza sta procedendo al sequestro conservativo dei conti correnti, delle pensioni, degli stipendi e dei beni immobili degli indagati. Toccherà ora alla Corte dei conti valutare le accuse presentate dalla procura.

 

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