Salvo sorprese dell’ultimo momento, Renzi diventerà Presidente del Consiglio entro la prossima settimana; ancorché le modalità con le quali la vicenda si è dipanata siano state vagamente sconcertanti, con altalene di rassicurazioni a Letta e di attacchi alla sua incapacità di cambiare passo, è obbligo dare a Renzi il beneficio della prova e cioè sospendere il giudizio sino a che non si sia capito (si spera presto e con chiarezza) se la sua ascesa sia stata quella di un bambino che fa le bizze oppure di uno statista in pectore.

Facciamo il tifo per la seconda ipotesi e la lista dei ministri, quando verrà ufficializzata, sarà un primo indizio pesante della via che ci aspetta. Renzi ha dichiarato più volte di puntare a un cambiamento radicale e sulla necessità di un cambiamento, date le circostanze nelle quali ci troviamo ormai da qualche anno, saranno tutti d’accordo; il problema è cosa e come cambiare?

La prima risposta istintiva di quasi tutti sarà quella facile: questa classe politica; novanta minuti di applausi! Poi però, una volta rottamati i rottamandi, occorrerà passare con una nuova guida, ai dettagli dei cambiamenti della Società.

La nostra Italietta, in osservanza al principio del compromesso che, reiterato a lungo, si volge in inciucio e che in determinati periodi è stato anche elevato alla nobiltà di una strategia di governo con l’appellativo di “storico”, è stata per molti decenni guidata sulla strada ben lastricata del quieto vivere; mentre il debito pubblico veniva accumulato sistematicamente, mentre la competitività industriale veniva giorno per giorno soffocata dalla fiscalità e dalla burocrazia, mentre l’evasione fiscale prosperava, la nazione marciava trionfante verso il precipizio; una parte consistente del paese ha vissuto per decenni solo grazie alla ricchezza prodotta da un’altra parte del paese; non solo sono state drenate viziosamente risorse che in maniera virtuosa avrebbero potuto essere destinate alla crescita sociale e tecnologica del paese, ma quel che è peggio è che si è generata e nutrita una classe di assistiti/privilegiati/furbi di professione e le si è fatto credere che ciò sarebbe potuto durare per sempre, che all’infinito ci sarebbe stata una parte produttiva forte abbastanza da generare reddito per tutti, da sostenere con le proprie tasse i servizi pubblici necessari e sufficienti per tutti, da garantire l’innovazione tecnologica e produttiva anche in presenza della costosa burocrazia autoreferenziale. 

No, la realtà ci butta oggi in faccia che i pasti gratis all’infinito non sono possibili e che la coperta ormai è diventata cortissima; semplicemente non c’è modo per cui, ulteriormente, la parte produttiva del paese possa garantire la sussistenza di tutti; non si tratta di ideologia o di visione più o meno redistributiva, semplicemente o la base di coloro che creano risorse si amplia, oppure è finita.

C’è però un problema temporale: dare un  taglio netto e immediato a privilegi, assistenza esasperata e furbizie varie significherebbe gettare sul lastrico milioni di persone e questo non è possibile; eliminare di colpo tutti i posti di lavoro pubblici clientelari e assistenziali significherebbe, in assenza di alternative, aggiungere centinaia di migliaia di disoccupati; cancellare domattina la gran parte della burocrazia statale che sembra avere come scopo principale quello di intralciare le attività produttive, di costringere i cittadini a balzelli continui e di giustificare la propria esistenza fine a sé stessa, significherebbe ancora cancellare decine di migliaia di posti di lavoro (ancorché nocivi anziché produttivi); sradicare subito l’evasione fiscale vorrebbe dire in molti casi costringere attività artigianali e professionali alla chiusura; nell’immediato il mantenere il prelievo di ricchezza dai ceti produttivi per finanziare quelli improduttivi sembra irrinunciabile. Facendo però questo, senza mettere contemporaneamente in atto un programma di cambiamento radicale, si procrastinerebbe di poco la caduta definitiva, perché una volta esaurita anche la ricchezza residua, avendola anch’essa redistribuita, ci troveremmo nella stessa situazione di oggi, senza neppure avere più risorse da utilizzare per finanziare i cambiamenti.

L’unica via che può allontanarci dal baratro è un programma di cambiamento a medio termine (diciamo 5-10 anni?) che abbia come sottinteso soprattutto lo sradicamento della mentalità dell’assistito/privilegiato/furbetto cronico incentivandolo a trasformarsi in  produttore di ricchezza e, ovviamente , favorendo le condizioni per le quali ciò possa avvenire.

Per un programma di cambiamento di questo tipo non sono possibili compromessi, quieto vivere, inciuci, buonismi; occorre uno shock “a orologeria” avviando progetti che, al loro termine tra uno o due lustri prevedano l’eliminazione delle posizioni di privilegio, senza se e senza ma e chi ha orecchie per intendere, intenda oggi per domani.

Per allestire un programma di questo genere occorre una squadra di governo che goda del rispetto e del sostegno popolare, che abbia volontà innovativa, capacità e  tenacia, che non si lasci neutralizzare dalle resistenze che troverà, siano esse di natura ideologica o corporativa.

Alcuni dei nomi che circolano per il nuovo governo vanno in questo senso, per esempio quello di Tito Boeri, il cui nome viene fatto per il ministero dell’Economia, comunica l’idea di garanzia di innovazione in senso meritocratico; altri lasciano alquanto perplessi, come quello di Epifani al ministero del Lavoro; infatti il riprendere la tradizione di ex sindacalisti a questo ministero suona di stantio, essendo che i sindacati, storicamente, hanno abbinato la difesa delle ragioni delle classi produttive a quella, corporativa, degli interessi della grande burocrazia statale, mettendo veti costanti a qualsiasi tentativo di valutazione meritocratica, non curandosi che la difesa delle ragioni degli uni confliggesse con quella dei privilegi degli altri.

Quindi, in presenza di voci di palazzo così divergenti in quanto a strade che indicano, non resta che aspettare e vedere quale sarà la composizione del Governo.

A quel punto potremo cominciare a capire se possiamo sperare in un cambiamento vero oppure se dobbiamo prepararci al peggio del peggio; ah sì, perché quella di Renzi, in attesa trepidante di vedere se si tratti di bambino bizzoso o di statista che passerà alla storia, è l’ultima possibilità che ci resta, dopo c’è solo il tracollo definitivo: non pasti gratis o a pagamento, semplicemente niente pasti per tutti.

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