Nessuna scissione, “ma non ci fermeremo finché non riusciremo a cambiare la Cgil dall’interno, rendendola più forte, più democratica e più partecipativa”. E’ una dichiarazione di guerra contro Susanna Camusso, segretario nazionale della Cgil, quella che il leader della Fiom Maurizio Landini pronuncia sul palco dell’assemblea autoconvocata al Pala Nord di Bologna dai delegati Cgil di tutta l’Italia, insorti a migliaia contro il proprio direttivo nazionale che nei giorni scorsi ha sottoscritto, assieme a Cisl, Uil e Confindustria, il Testo unico sulla Rappresentanza sindacale. Un testo, “anzi – precisa Landini – un accordo che, di fatto, apre una crisi democratica all’interno della Cgil: che introduce sanzioni anche pecuniarie per i rappresentanti dei lavoratori, l’arbitrato interconfederale e che mortifica il ruolo dei sindacati.

E tutto questo senza consultare quegli stessi lavoratori a cui sarà imposto, ma che invece è stato presentato al direttivo sotto forma di mozione di fiducia, da accettare a scatola chiusa. In pratica, il testo dell’intesa è, secondo le tute blu, ma anche secondo le categorie che hanno aderito alla giornata di discussione voluta in seno alla Cgil – dai trasporti alla comunicazione, dai bancari alla funzione pubblica, dalla Fiat a Electrolux, a Deutch Bank – il modello Pomigliano trasferito ai contratti nazionali, “dimenticando che la Corte Costituzionale quel modello l’ha bocciato”. Nel documento, infatti, sono state inserite delle “clausole e/o procedure finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti” con “conseguenze sanzionatorie per comportamenti attivi o omissivi”. Ma anche regole per definire “il peso” dei sindacati, che si calcolerà sull’incrocio tra le deleghe e i voti raccolti alle elezioni delle Rsu, e in presenza di più piattaforme, sarà favorita quella con almeno il 50%+1 della rappresentatività nel settore.

“Insomma – ironizza Landini, per il quale Susanna Camusso ha chiesto via lettera al Collegio statutario una sanzione disciplinare – nella legge elettorale di Renzi e Berlusconi, di cui non sono entusiasta, chi arriva primo e supera il 37% si prende il 55%, nel Testo unico chi vince con il 49,9% non conta nulla”. E con lui concorda l’ex candidato alla presidenza della Repubblica Stefano Rodotà, ospite d’onore al Pala Nord di Bologna assieme all’ex preside della Facoltà di scienze politiche dell’Università di Bologna, Umberto Romagnoli: “In pratica parliamo di una serrata – spiega Rodotà – l’Italicum è una legge elettorale illegittima scritta per chi è già dentro sistema politico, che blocca chi dall’esterno vuole entrare e si trova una soglia di sbarramento dell’8%, col rischio che 3,5 milioni di italiani rimangano senza rappresentanza. Lo stesso vale per l’accordo: è questo il tema che abbiamo di fronte oggi, un problema di libertà e rappresentanza“.

In un momento di transizione come quello che l’Italia sta vivendo, dove una “maggioranza, che mi è misteriosa perché è la stessa che ha portato al violento accantonamento di Enrico Letta, si sta costruendo, non bisogna dimenticare che non si può costruire nulla se si sequestra la democrazia”. Discussa, insomma, “la legittimità di una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale”, sottolinea Rodotà, “dobbiamo misurare ciò che cerca di imporre nel mondo del lavoro il Testo unico, che va confrontato con un’altra sentenza della Consulta, quella che ha dichiarato illegittimo l’articolo 19 stabilendo che sono stati violati gli articoli 2 e 3 della Costituzione”. La sentenza che ha, di fatto, reintrodotto la Fiom all’interno della Fiat.

Servirebbe, sottolinea Landini, “una riforma del lavoro, un piano per l’industria, e dico ‘servirebbe’ perché anche prendendo per buona la volontà di cambiare tutto di Matteo Renzi, il Parlamento è sempre quello, con Scelta civica, con Alfano. Ho criticato Monti e Letta perché sul lavoro non è stato fatto nulla, ma mi chiedo, come possiamo fare queste cose con questo Parlamento? I governi non eletti dalle persone non mi convincono, a proposito di crisi della democrazia”. Il problema della rappresentanza, secondo i delegati autoconvocati, non è quindi solo sindacale o solo politico: “E’ una crisi a tutto tondo – sottolinea Landini – e di fronte a una situazione simile ciò che un sindacato deve fare è ricorrere alla democrazia, e non limitarla. È così che la Cgil ha resistito 100 anni”.

“Noi andremo avanti in questa battaglia – assicura Nico Vox, delegato Cgil per la Funzione pubblica, applaudito da un Pala Nord di Bologna pieno centinaia di sindacalisti – perché siamo un sindacato ma siamo anche cittadini”. Vox c’era a Milano durante gli scontri avvenuti il 14 febbraio tra il servizio d’ordine della Cgil, in sala parlava Camusso, e un gruppo guidato da Giorgio Cremaschi, storico esponente del sindacato dei metalmeccanici ora tesserato Cgil-Spi (pensionati), giunto nella sala dove era in corso un’assemblea per protestare contro l’accordo sulla rappresentanza che ha decretato la spaccatura Cgil-Fiom. “L’unico intervento contro il Testo unico era il mio e l’hanno cancellato – precisa Vox – segno che ormai l’apparato conta più della base. Ma il sindacato siamo noi, che senso ha una sigla se ci si dimentica della piazza, dell’unità senza steccati, di quei lavoratori che noi dobbiamo tutelare?”.

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