Giovedì 13 febbraio la direzione nazionale Pd ha deciso di mandare a casa Enrico Letta e di formare un nuovo governo che sia guidato da Matteo Renzi e che, a maggioranza invariata, faccia le riforme ponendosi come orizzonte temporale il 2018. Il documento è stato approvato con 136 voti favorevoli e 16 voti contrari. Uno dei contrari era il mio, e ne ho spiegato le ragioni nel mio intervento. Il segretario Renzi può pure avere le migliori intenzioni, ma chi come noi ha occupato le sedi contro le larghe intese, ad aprile scorso, non può non rimanere perplesso. Perché il problema non è il nome del Premier, ma questa maggioranza. In moltissimi dopo i 16 voti contrari ci hanno inviato messaggi di sostegno, perché condividono le nostre preoccupazioni. Sono arrivati da elettori Pd e da fuori, anche da persone che alle primarie hanno fatto scelte diverse dalla mia, che ho sostenuto Civati. Qualcuno mi ha chiesto il testo dell’intervento, e lo pubblico qui. Per chi preferisse il video, invece, lo trova qui.

“Caro segretario, cari colleghi.

Poco meno di un anno fa, insieme a tanti altri ragazzi in tutta Italia occupammo simbolicamente le sedi del partito e l’assemblea nazionale. Sia chiaro, non lo facevamo per antipatia personale verso Enrico Letta, né Franco Marini. Erano le larghe intese il problema. Questa maggioranza. E non credete che fosse un capriccio; la protesta nasceva dalla netta consapevolezza che non solo stessimo andando in senso esattamente opposto a quanto promesso ai nostri elettori, ma anche che una maggioranza siffatta non sarebbe stata in grado di dare al Paese le risposte e le riforme che disperatamente ci chiede.

Gli ultimi dieci mesi, purtroppo, e nonostante l’impegno profuso da Enrico Letta e dai suoi ministri, e dai nostri parlamentari, ci hanno dimostrato che avevamo ragione e le nostre preoccupazioni erano fondate. Sono mesi in cui è difficile ricordare un’iniziativa forte in cui siamo riusciti a mettere a segno anche uno soltanto dei famosi “8 punti” di Bersani. La risposta alla crisi non è arrivata, né su corruzione e conflitto di interessi è stato possibile fare alcunché, gli investimenti in tema di ambiente e cultura, edilizia scolastica, ancora non si vedono, nessun passo avanti sui diritti e lo ius soli. È un governo che rischia di essere ricordato per l’imbarazzo sui casi Alfano e Cancellieri, per una decisione difficilmente comprensibile sull’Imu, per il decreto Bankitalia. 

Quando avremmo potuto da subito, prima con la mozione Giachetti, poi appena dopo la sentenza e le motivazioni della Consulta a dicembre, quando in Parlamento sembravano esserci le condizioni per un ritorno al Mattarellum rivisto e migliorato, cogliere la palla al balzo e dare al Paese la nuova legge elettorale che aspetta da anni. 

Oggi ci si propone di mantenere lo schema invariato. Chi prima diceva “mai più larghe intese” e “con Matteo si vince” ora nel dubbio preferisce rinunciare a giocare. Chi prima diceva “alle primarie si vota il segretario, un premier l’abbiamo già” e “no al partito come trampolino”, ora inspiegabilmente spinge il segretario a fare il premier senza passare per le urne.

Ma siamo proprio sicuri che sia questo che ci chiedono i cittadini? Nel dire continuamente che il Paese non è pronto per votare, c’è un sotteso elitarismo, un paternalismo che mal si addice ad un partito che sin nel nome è, e dovrebbe essere, DEMOCRATICO. 

Da fuori ci guardano, e stentano a capirci. La nuova politica rischia di assomigliare terribilmente a quella vecchia, se si rassegna a consegnare le riforme ad operazioni di palazzo, anziché farle crescere e maturare nel confronto aperto con i cittadini e con le altre forze politiche nel contesto del dibattito elettorale. Non è forse questo che dovrebbe fare un grande partito democratico? Non calare le riforme dall’alto, bensì farle vivere tra la gente, condividerle e discuterle, costruire cultura politica? 

Al nostro segretario Matteo Renzi, che alle primarie non ho votato, riconosco la grande capacità di parlare agli elettori dentro e fuori dal Pd. A chi è lì sul margine che ci guarda con curiosità e interesse. Ma questa è un’abilità che si può misurare soltanto in una campagna elettorale, dove il candidato premier, con l’aiuto di tutti noi,  può far crescere quel consenso popolare e ottenere quella legittimazione che SOLA può garantire un governo stabile, sereno, forte e duraturo per fare le riforme. Le altre strade mi vedono contraria. Diffido da chi le suggerisce per paura di non tornare in Parlamento, diffido ancora di più da chi, forse, ha la recondita speranza che il segretario si bruci anzitempo. Perché se si brucia il segretario, cari colleghi, si brucia il Pd. E se si brucia il Pd è a rischio anche la tenuta del Paese. 

Quindi, e concludo, la preoccupazione nasce dal fatto che, pur con le migliori intenzioni, a maggioranza invariata mi pare folle pensare di poter fare qualcosa di più e meglio di quanto abbiamo visto in questi mesi. Non basta l’eventuale assenza di Berlusconi, a meno che non siamo così sprovveduti da pensare che negli ultimi vent’anni l’unico problema del centrodestra fosse il suo leader. Mi chiedo come il segretario Renzi pensi di poter portare avanti il cambiamento che abbiamo promesso, con gli stessi soggetti. Come pensa di poter parlare di contratto unico e di unioni civili, di revisione della Bossi-Fini, e di affrontare le piaghe sociali della corruzione, dell’evasione fiscale e del conflitto di interessi, con chi a queste battaglie si è sempre posto comprensibilmente come ostacolo. 

Così, come quando occupavamo allora, la preoccupazione rimane. E rimane per questo schema, da cui invece dovremmo uscire quanto prima con soluzioni nuove , da sottoporre al vaglio dei cittadini. Con una nuova legge elettorale che non sia vincolata a lunghi processi di riforma costituzionale, e restituendo quanto prima, con coraggio e convinzione di avere le proposte migliori da offrire, la parola ai nostri cittadini. Io non credo che quella indicata dal segretario Renzi sia la “strada meno battuta.” Un suo concittadino, Tiziano Terzani, diceva una cosa molto saggia: “Quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è speranza. “ 

Ecco, invito tutti a non considerare la strada in discesa, la scorciatoia, ma a scegliere insieme a tutto il Pd quella in salita, di approvare in fretta una nuova legge elettorale ed andare al voto, per ricostruire la speranza per l’Italia.”

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