Ieri la Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi sulle droghe. In queste ore se ne è scritto e discusso già tanto. Gli effetti sulle condizioni delle carceri italiane non sono facilmente quantificabili ma certo si sentiranno. Sono intorno al 37% del totale i detenuti per violazione del solo articolo 73 del Testo Unico sugli stupefacenti. Ora torna a rivivere la legge Jervolino-Vassalli, che prevedeva pene inferiori, politiche di riduzione del danno e un trattamento penale diverso nel caso di droghe leggere o pesanti. Chi è in custodia cautelare in base alla Fini-Giovanardi si vedrà applicare le misure della Jervolino-Vassalli, mentre chi ha già una sentenza definitiva potrà chiedere ai giudici che la propria pena venga ricalcolata con un incidente di esecuzione. Una quota di detenuti uscirà dunque dal carcere prima del previsto, alcuni anche subito. Ciò contribuirà a farci arrivare a maggio all’appuntamento con la scadenza che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dato all’Italia per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario con una situazione più vicina alla legalità.

È stato un vizio procedurale a far bocciare la legge Fini-Giovanardi, che era stata inserita di straforo come emendamento governativo in un decreto che parlava d’altro e la cui necessità e urgenza erano state certificate dal Presidente della Repubblica in relazione a tutti altri temi. La speranza è tuttavia che la sentenza di ieri apra una discussione anche di merito. La questione delle droghe va affrontata politicamente, giuridicamente e culturalmente con la profondità di riflessione che merita. È legittima una legge che punisce – se pur oggi meno dell’altro ieri – comportamenti senza vittima, se non colui che li mette in atto? È giusto trattare penalmente questioni dove non si individua alcun bene protetto violato? Io credo di no. Credo che la questione della tossicodipendenza vada affrontata con serissime politiche sociali, non penali.

Mi auguro che i miei figli non si avvicinino mai ad alcuna droga e sto facendo di tutto per improntare la mia educazione in questa direzione. Ma non mi sento onnipotente e conosco lo stile di vita dei ragazzi, dunque metto in conto che potrebbe accadere. Per me sarebbe una tragedia. Quel che vorrei sentire in una circostanza di quel tipo è la vicinanza e l’aiuto delle istituzioni. Vorrei che lo Stato mi fosse complice nel mio modello educativo e mi aiutasse a risolvere il problema. Se invece l’istituzione mi moltiplica enormemente quel problema, prendendo mio figlio e mettendolo in carcere, la mia tragedia viene spropositatamente aumentata. Così come lo è stata quella di tante famiglie nel corso di questi otto anni di Fini-Giovanardi.

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