Il progetto di “Impegno Italia” arriva nel momento in cui le tensioni a livello politico sono vicine al punto di svolta. Mentre si continua a parlare di “staffetta Letta-Renzi”, il premier (quasi per anticipare la direzione del Partito democratico di giovedì) ha deciso di presentare un piano che impegni il governo per i prossimi mesi e fare quello che non è stato fatto negli scorsi dieci mesi.

Se questo sarà possibile è ben difficile dirlo, ma certo se il passato insegna qualcosa non sarà “Impegno Italia” a risolvere i problemi strutturali di un paese che ha registrato per due anni consecutivi una delle peggiori recessioni dopo quella sotto la guida all’economia del ministro Tremonti. La pressione di Matteo Renzi si nota eccome. Sono infatti 50 i punti sintetizzati in una tabella “excel” (così direbbe Renzi) da Enrico Letta. Che propone un “metodo” per il patto di coalizione che in realtà sembra molto difficile da raggiungere dato che sembra proprio il sindaco di Firenze il primo a volere un forte cambio alla guida del Governo. Le premesse di questo piano non sembrano delle migliori dato che si prevede una crescita dell’1 per cento nel 2014, quando tutti gli istituti di ricerca e la stessa Banca d’Italia prevedono una crescita dello zero virgola qualcosa. Inoltre non è vero che le tasse siano cominciate a decrescere nel 2013 come invece scritto. La pressione fiscale rimane eccessivamente elevata e le promesse degli ultimi mesi non sono state ancora rese effettive. Si ricorda che l’aumento dell’Iva al 22 per cento è di pochi mesi fa, mentre la riduzione del cuneo fiscale è affidata ad un fondo che dovrà essere riempito di risorse ancora non reperibili.

Tuttavia nel frattempo sono aumentati i contributi che di fatto aumentano il cuneo fiscale dimostrando che tra il dire e il fare vi è di mezzo la politica italiana. Vi sono nella parte attuativa di “Impegno Italia” dei punti positivi sulla carta. In primo luogo si vuole limitare l’intervento dell’amministrazione nel processo legislativo. Questo punto è un punto di svolta perché proprio in questo passaggio ad oggi si annida la peggiore burocrazia. Chi conosce un po’ il processo legislativo italiano, sa benissimo che la pubblica amministrazione invade spesso il campo legislativo con emendamenti e suggerimenti alla politica che di fatto bloccano gran parte delle riforme. È credibile che un governo debole – impossibile negarlo – abbia la forza per fare questa modifica così importante? Un governo debole che sconfigge una classe burocratica forte? Sulle nomine si afferma che i funzionari pubblici in servizio effettivo non possano essere nominati nei consigli di amministrazione delle società. Anche in questo caso è un passo in avanti importante, ma certo è sconfessato dagli ultimi dieci mesi di Governo.

Per quanto riguarda il capitolo lavoro vi sono degli avanzamenti importanti. Il contratto indeterminato con garanzie crescenti ricorda la proposta “Ichino” e servirebbe a dare maggiori tutele e al contempo flessibilità al mercato del lavoro. Sono coraggiose anche l’eventuale semplificazione del Codice del Lavoro e la riforma degli ammortizzatori sociali, ma non sono chiaramente individuati i tagli di spesa per finanziare quest’ultima riforma. Nel tema cosiddetto “persone”, Letta sembra molto riprendere le proposte di Renzi, dallo ius soli fino ai diritti delle coppie conviventi. Inoltre si decide di puntare sull’edilizia popolare, dopo che questo è stato fatto per decenni. Un insuccesso della gestione pubblica che viene riproposto. Nella formazione si vuole premiare il merito, ma la valutazione è sulla scuola e non sui singoli insegnanti. Quando si vuole copiare un modello meritocratico nordico – spesso la Svezia è presa ad esempio in Italia – non ci si ricorda mai anche dei punti più liberali di questi paesi. In Svezia ogni singolo studente ha una valutazione nazionale che incide sulla valutazione del singolo insegnante. Quest’ultimo è valutato dal direttore dell’istituto scolastico che ha la responsabilità di licenziare quel professore che non raggiunge determinati obiettivi. Licenziando chi svolge male il proprio lavoro, si potrebbe risolvere il problema del precariato, come anche teoricamente vorrebbe fare “Impegno Italia”.

Per la parte del fisco si vuole ridurre di 4,5 miliardi la tassazione su famiglie e imprese grazie alla spending review che sta compiendo il Commissario Cottarelli. Sicuramente un passo nella giusta direzione, ma si ricorda che ogni anno l’Italia spende oltre 800 miliardi di euro di spesa pubblica. Ridurla dello 0,5 per cento va bene, ma è insufficiente. Giustamente si vuole anche ridurre la burocrazia, ma questo in Italia si è sentito dire così spesso che difficilmente è credibile. Nella pubblica amministrazione si propone di introdurre dirigenti a tempo e di togliere la politica delle Asl. Impegni troppo vaghi, soprattutto sul secondo punto. Si parla poi delle privatizzazioni e come esempio è preso quello di Poste Italiane che di fatto privatizzazione non è stata. Lasciare il controllo ai sindacati e la maggioranza al settore pubblico è solo una vendita di una quota di minoranza e non certo una privatizzazione. Si parla anche di liberalizzazioni, ma anche in questo caso vi sono impegni davvero troppo vaghi per un problema che deve essere affrontato alla radice come dimostra il caso Atac e la mala gestione pubblica dei servizi pubblici locali. Vi è anche un accenno al settore turistico, ma pensare che tramite la trasformazione dell’Enit o l’istituzione di un comitato interministeriale per definire la strategia turistica del paese dimostra che il settore è davvero poco considerato e lasciato ai margini. Un settore che, è bene ricordare, vale circa il 10 per cento del prodotto interno lordo.

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