Colpevoli di diritto di cronaca, colpevoli di testimonianza.

Sono le responsabilità penali nelle quali possono incorrere, secondo la legge italiana, i giornalisti, i non giornalisti, i blogger che scrivono sulla carta stampata e sul web.

D’altronde, come dice Michel Foucault ne La volontà di sapere: “I discorsi, come i silenzi, non sono sottomessi al potere o rivolti contro di lui una volta per tutte. Bisogna ammettere un gioco complesso ed instabile in cui il discorso può essere contemporaneamente strumento ed effetto di potere, ma anche ostacolo, intoppo, punto di resistenza ed inizio di una strategia opposta”.

E a giudicare dalla vicenda che ha investito la giornalista professionista freelance Paola Bacchiddu, il discorso come “strumento ed effetto di potere” non ha nulla di cui preoccuparsi in Italia, ha la strada spianata, con buona pace del giornalismo, del diritto di cronaca e della libertà della rete.

Per un articolo pubblicato su Linkiesta, giornale online per il quale la giornalista lavorava, la Bacchiddu, a querela di parte, è stata citata in giudizio: diffamazione a mezzo stampa con l’aggravante di aver “fatto uso di mezzo di pubblicità”, cioè di Internet. L’allora direttore della testata ha visto archiviata la propria posizione per il reato di omesso controllo sul medesimo articolo. Un reato peraltro discutibile, che con il crescere dell’informazione è sempre più anacronistico, tanto per la carta quanto per il web.

In punto di diritto, il rischio che la freelance corre è altissimo: una condanna alla reclusione da sei mesi a tre anni e una multa non inferiore a 516 euro.

La giornalista ha semplicemente esercitato il suo diritto di cronaca su una testata online registrata presso il Tribunale, come ricorda al sito Lsdi.it: “Ho riportato il virgolettato di un esposto della Procura grazie al quale è stato aperto un fascicolo dove il querelante è stato indagato” e concludendo, tra l’altro, che la giustizia avrebbe verificato la fondatezza delle accuse. “Credo che nel giudizio finale – rimarca la Bacchiddu – si debba considerare l’esercizio del diritto di cronaca nell’ambito della professione giornalistica e che non si tratti di una questione marginale”.

Ma perché chi scrive, giornalista o blogger, continua ad essere così esposto?

Al di là di qualche asimmetria normativa, il vero problema è che manca una visione riformatrice sulla libera manifestazione del pensiero e della legislazione sulla stampa, compreso l’online, che tarda a concretizzarsi e che rimane ancora nel recinto della disciplina penalistica, come retaggio del passato.

Il mancato adeguamento della legislazione italiana ha creato un ampio potere di querela temeraria che tenta di comprimere l’informazione, a prescindere dal fatto che “rispetti i canoni della verità, della continenza espressiva e dell’interesse sociale alla notizia”.

Nella sentenza del 2 aprile 2009 (Kydonis c.Grecia) la Corte di Strasburgo, condannando la Grecia al risarcimento nei confronti di un giornalista, ha ritenuto che le pene detentive non siano compatibili con la libertà di espressione perché: “Il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei giornalisti di informare con effetti negativi sulla collettività che ha a sua volta diritto a  ricevere informazioni”, sottolineando che: “la previsione di una pena carceraria  inflitta per un’infrazione commessa nel campo della stampa non è compatibile  con la libertà di espressione giornalistica, garantita dall’articolo 10 della  Convenzione, se non in circostanze eccezionali, in particolare quando siano stati gravemente lesi altri diritti fondamentali, come nell’ipotesi, ad esempio, della diffusione di un discorso di odio e di incitazione alla violenza”.

In tale prospettiva, occorrerebbe richiamare anche l’esperienza americana che difende da querele temerarie chi scrive sul web e sulla carta.

Oltre al famoso caso New York Times vs Sullivan, secondo cui il querelante deve provare che il giornalista abbia ignorato ad arte la verità o abbia intento diffamatorio, la nona Corte d’Appello di San Francisco ha stabilito di recente che anche i blogger non professionisti, purché si tratti di interesse pubblico, hanno diritto alla protezione legale, al pari dei giornalisti della carta stampata, in base al primo Emendamento.

Jay Rosen, professore di Giornalismo della New York University, afferma significativamente: “È il contenuto che richiede protezione, se rilevante, indipendentemente da chi se ne fa portatore”.

Come ha osservato Deborah Bianchi, avvocato esperto di diritto della Rete, anche il “Ddl Diffamazione” in discussione al Senato non affronta con la necessaria ponderazione i problemi aperti dal caso Bacchiddu.

In primis, la querela temeraria.

Per evitare altre sconcertanti vicende, bisogna cambiare con urgenza le leggi, depenalizzando il reato di diffamazione a mezzo stampa (o a mezzo Internet) e calibrando eventuali responsabilità di tipo civilistico.

Altrimenti,  si continuerà a rimanere “colpevoli” di diritto di cronaca.

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