Come Moby Dick per il comandante Achab. È il Force Blue per gli uomini della Finanza. La preda quasi impossibile, frutto di un inseguimento senza fine. Fino alla cattura. Anzi, al sequestro. Oggi pm e avvocati di mezzo mondo stanno scatenando la battaglia finale: in gioco è la confisca dello yacht tanto amato da Flavio Briatore. Al punto, sostiene l’accusa, da usare quel nome (con le iniziali Fb impresse sul camino) con una punta di narcisismo che tradirebbe il vero proprietario: Flavio Briatore.

Eccolo il Moby Dick spiaggiato nei cantieri di Genova per il lifting invernale. É il momento per salire a bordo, quasi di nascosto. Una visita ufficiale? “Serve il permesso dell’armatore a Ginevra”, spiega il comandante Ferdinando Tarquini. Scusi, perché l’armatore? La nave è affidata a un custode giudiziario e a una società di Montecarlo che la affitta per conto dello Stato. “Dobbiamo chiamare l’armatore a Ginevra”, ripetono.

Ma bisogna salire sul Force Blue per capire cos’è il lusso negli anni del berlusconismo. Per vederlo, respirarlo. Soprattutto toccarlo. Già dal primo ponte dove ti dicono subito di toglierti le scarpe. Teak del Siam dappertutto, non pare neanche fatto per navigare. Cammini e il legno ti accarezza i piedi. E ti viene difficile non pensare a chi ha posato qui le sue estremità: magari pensi a Naomi Campbell o più mestamente a Silvio Berlusconi ed Emilio Fede. Ecco, il Force Blue è soprattutto un monumento – di 63 metri – a un’epoca. A un ventennio forse finito. Apri la prima grande vetrata a poppa, che da sola ti costa un’ernia, e capisci: qui venivano accolti gli ospiti di Fb. Cento metri quadrati abbondanti. Non puoi fare a meno di immaginare le scene che ci si sono svolte: vedi il Cavaliere che racconta barzellette in piedi in mezzo alla sala. Vedi piloti di Formula 1, vedi Briatore chioma d’argento. E sullo sfondo immagini decine di figure femminili, indistinte. Senza nome. Ti sembra di sentire le loro voci, i risolini.

Ma la vista non è il senso giusto per percepire il lusso. Meglio l’olfatto che sente le pelli pregiate. O il tatto, con le dita che scivolano sul mogano. Riesce quasi difficile pensare di vivere qui: fai un passo e subito una mano premurosa cancella quella terribile ombra sul teak, elimina le impronte dei polpastrelli sull’ottone. In coperta, accanto alla jacuzzi, ci sono sedie a sdraio grandi come troni. No, non è una barca per umani, gente che macchia, suda. Ecco la sala riunioni. E ti pare di vederlo, Briatore, come nella fiction, tra le poltrone in pelle e il lungo tavolo rettangolare. Poi un quadro con gente grassa alla parete (ah, già, dev’essere un Botero, ma qui erano tutte magre… forse l’avranno preso per la réclame di una dieta). C’è pure il cinema che non è proprio una saletta parrocchiale. Per il ponte di comando bisogna salire al quarto piano del condominio galleggiante. Radar ovunque, con un joy stick grande come una matita sposti la nave. Infine le camere da letto, che schiacci un bottone e ti si accendono luci dappertutto, sulla testa, sotto i piedi. I bagni sembrano una discoteca: musica, luci e specchi ovunque. Ci vuole una certa sicurezza di sé. Appena alzi gli occhi, ti vedi.

Bello? Un po’ pacchiano, ma poi dicono che sei il solito invidioso.

L’inchiesta completa sul Fatto del Lunedì in edicola oggi

Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 10 febbraio 2014

(Nella foto: il Force Blue a Venezia, Lapresse)

Articolo Precedente

Sport e bambini: serve anche imparare a soffrire?

next
Articolo Successivo

Una discarica per la web-spazzatura

next