Sei ore per fare quello che si fa in sei mesi. Sta in questi numeri il miracolo del Ros dei carabinieri coordinati dal colonnello Giovanni Sozzo che in cinque giorni ha chiuso i conti con Mimmo Cutrì, ergastolano evaso dal tribunale di Gallarate lunedì 3 febbraio 2014, arrestato domenica 9 febbraio in una villetta in ristrutturazione a Inveruno (leggi). Un blitz perfetto messo a segno in un contesto ambientale pressoché sconosciuto da una quarantina di uomini esperti di pedinamenti e microspie.

Ecco allora i passaggi che hanno scandito la caccia al fuggiasco. Alle 15 di lunedì in viale Milano va in scena il blitz. Gli uomini di Nino Cutrì, il fratello del detenuto, entrano in azione. Pochi secondi e fuggono a bordo di un’auto scura. A bordo Nino Cutrì è ferito e morirà qualche ora dopo all’ospedale di Magenta. Il 4 febbraio il segnale che arriva dal comando generale di Roma è perentorio: Mimmo Cutrì va catturato a tutti i costi, perché lo Stato italiano non può tollerare un’evasione di questo genere. Ed ecco che la patata bollente arriva nelle stanze di via Lamarmora a Milano. Fin da subito si capisce che quella della Ros è una missione (quasi) impossibile. Intanto da casa Cutrì la madre lancia una segnale altrettanto netto: “Mimmo non costituirti” (leggi)

L’ordine dato al Ros è quello di mappare l’intero territorio. E di farlo in sei ore sei. S’inizia così a censire l’intera zona, compulsando la lista dei pregiudicati, dei referenti delle cosche, degli amici e parenti del latitante. Si gira per i paesi attorno a Inveruno, comune dove abita la famiglia Cutrì. Le anagrafiche sono decisive. Ma gli accessi agli uffici dei comuni rischiosi. Qualche parente della banda, infatti, potrebbe lavorare nella pubblica amministrazione. Si prosegue sulla strada e si arriva a Cuggiono a casa dei parenti di Carlotta Di Lauro, compagna di Nino Cutrì. Da lì a qualche ore la madre, che di mestiere fa la vigilessa, ne denuncerà la scomparsa. La ragazza, assieme al figlio, fa perdere le proprie tracce un’ora e mezza prima che entri in azione il commando per liberare Mimmo. E poi c’è Daniele Cutrì, il fratello minore che, stando alle dichiarazioni dei genitori dal giorno prima del blitz sarebbe in vacanza a Napoli, città natale di Aristotele Buhne. Lui, classe ’82, residente a Turbigo, già da martedì 4 febbraio viene collocato in viale Milano durante il blitz della banda (leggi).

Il 5 febbraio, il primo inciampo dei fuggiaschi. A Celio in provincia di Vercelli tre uomini abbandonano una valigia piena di vestiti e medicinali. Vengono notati dal vice-sindaco che dà subito l’allarme. In serata i tre vengono portati nella caserma di Gallarate. Su di loro la quasi certezza di essere i fiancheggiatori della latitanza di Cutrì.

Nel frattempo gli uomini del Ros non hanno mai mollato la zona di Inveruno. Tra il 4 e il 5 febbraio 2014, il telefono di uno della banda riceve la chiamata da un numero di cellulare sconosciuto. Parla un tale Franco. Chi risponde passa il cellulare. Franco discute con un altro uomo. E’ Mimmo Cutrì. Da quel momento la caccia si sposta e si concentra su questo Franco. L’uomo giusto è lui. I Ros lo identificano in Franco Cafà. La pista è buona, anzi buonissima. Tanto che si pensa di catturare il latitante già quella notte. In realtà le cose sono più complicate. L’uomo, infatti, è incensurato, di mestiere fa il geometra ad Arconate e possiede diversi immobili. I cacciatori del Ros arrivano ad Arconate. Obiettivo: pedinare Cafà. Il paese è piccolissimo, le strade sono strette. Stare fermi in auto è impossibile. Mettersi fuori dal comune sarebbe troppo lontano. Bisogna rimanere in auto e pedinare. Girare, senza fermarsi. Due in auto, uno alla guida e l’altro a segnalare ogni posto che Cafà frequenta. Se entra in un bar, bisogna chiamare al comando per gli accertamenti sulla proprietà. 

Il 6 febbraio il gip del tribuanle di Busto Arsizio conferma l’arresto delle tre persone. In questo momento emerge la vicenda di Celio, la valigia e il covo. Il giorno dopo, venerdì 7 febbraio, i carabinieri fermano Daniele Cutrì e Carlotta Di Lauro. Entrambi vengono fermati nelle loro case di Inveruno e di Cuggiono. La vera caccia, però, è ancora in corso. Il Ros scommette tutto su Cafà  e su cinque immobili a lui riconducibili. Cafà viene fermato. In questo momento, è sabato sera (mancano poche ore all’arresto di Cutrì), si punta tutto su due case, una sta in via Villoresi proprio a Inveruno. Poco prima delle tre di domenica mattina, gli uomini del Gis, i militari del gruppo intervento speciale, fanno esplodere due cariche e sfondano in via Villoresi. Dentro c’è Mimmo Cutrì. Con lui Luca Greco, un fedelissimo già convolto per falsa testimonianza nel processo per omicidio dal quale Cutrì è uscito con un ergastolo. In casa c’è molto cibo, le sigarette e una calibro 375 con il colpo in canna. Alle quattro di mattina davanti alla villetta in ristrutturazione non c’è più nessuno. L’ergastalono andrà alla caserma di Gallarete e da qui al carcere di Opera. Per i cacciatori del Ros scatta l’ora dei festeggiamenti. “Andiamo a fare una doccia”. Breve, ma meritata. 

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