I liberisti americani si stanno preparando per l’uscita delle versione inglese de Il capitale nel XXI secolo, scritto dal professor Thomas Piketty e pubblicato in Francia pochi mesi fa. Piketty presenta una tesi interessantissima: il sistema economico capitalista, ma anche quello che lo ha preceduto, rema a favore delle diseguaglianze economiche. Al centro della sua tesi c’è il mercato, più questo funziona bene, e quindi più il meccanismo di scambio è perfetto, più crescono le diseguaglianze tra gli imprenditori, coloro cioè che posseggono il capitale, ed i lavoratori che ne sono privi. In effetti questo ragionamento è logico: più il mercato dei capitali è perfetto più alto sarà il guadagno di chi li possiede rispetto al tasso di crescita dell’economia. Nel libro questa affermazione è supportata da innumerevoli dati e serie storiche.

Per la prima volta dai tempi della supply side economics, abbiamo a disposizione una tesi antitetica che, con dati alla mano, ne dimostra l’assurdità. Ma la parte più interessante di questa nuova teoria è l’analisi delle politiche economiche legate all’illusione che il libero mercato e la bassa tassazione del capitale siano complementari al successo della democrazia. Nulla di più sbagliato infatti!

La crisi attuale delle democrazie occidentali è anche frutto di un sistema economico discriminante che ripropone una distribuzione dei redditi antica, arcaica e che blocca la mobilità sociale. Un sistema che è sempre esistito. Piketty non si sbilancia sui motivi di tutto ciò, ma si potrebbe ventilare l’ipotesi che a monte ci sia un tratto caratteriale umano: chi possiede ricchezza e potere non li vuole condividere e quindi fa di tutto per difendere i propri privilegi.

Il comportamento della classe politica e delle élite del denaro italiane negli ultimi 30 anni confermano questa affermazione, come l’avvalla l’acuirsi della sperequazione dei redditi e della ricchezza durante lo stesso periodo.

Unica eccezione nel corso dei secoli il periodo che va dal 1913 agli anni Settanta, anni in cui si sono verificati eventi eccezionali come due guerre mondiali, la grande depressione, l’iperinflazione tedesca ma anche l’ascesa del comunismo. Da una parte il capitale ne ha sofferto, si pensi solo al 1929 quando da un giorno all’altro intere fortune sono scomparse, dall’altra i partiti della sinistra storica hanno difeso gli interessi dei non privilegiati.

Dalla sperequazione dei redditi fino alla concentrazione della ricchezza nelle mani dei pochi, l’analisi delle serie storiche presentate (Piketty parte addirittura dall’anno mille) conferma come soltanto un sistema di tassazione mirante a tassare i ricchi molto di più dei meno ricchi sia in grado di riequilibrare il meccanismo economico. E sicuramente su questo punto si scateneranno le ire del mondo neo-liberista.

Naturalmente in un’economia aperta e globalizzata tassare pesantemente il capitale non funziona per il semplice motivo che questo si può muovere liberamente. Il professor Piketty propone infatti un sistema di tassazione globale. Concettualmente corretta in pratica questa è un’impresa quasi impossibile perché ci sarà sempre una nazione disponibile a fungere da paradiso fiscale per i super ricchi. Ma almeno costoro non potranno vivere liberamente dove viviamo noi, viene spontaneo pensare.

Il nocciolo della questione è politico, su questo nessuno può non essere d’accordo, e verte sul concetto di rappresentanza. Chi è alla guida delle nazioni a chi deve rispondere? Ecco una domanda alla quale, ahimè, nessuna teoria economica può dare risposta.

Piketty azzarda una previsione catastrofica se il problema delle diseguaglianze non viene risolto e cioè il ritorno delle tensioni sociali e forse anche della violenza politica nelle strade delle nostre città.

 

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