Odio in rete. “Mostrare le facce e i volti di chi pensa di intimidirci con offese sessiste”. Dalla prima lettera di Alessandra Moretti (Pd) al Corriere. 

La deputata del partito democratico Alessandra Moretti ha rivelato in un’intervista resa al Corriere della Sera,  di aver depositato, insieme ad un buon numero di deputati under 35 (parole sue) una proposta di legge tesa a reprimere l’odio in rete.

La deputata, che era stata oggetto nei giorni scorsi  di un’incursione hacker nel proprio account twitter, che ha avuto come conseguenza uno scambio di offese con la senatrice del Movimento 5 stelle Paola Taverna, ha delineato nella lettera al quotidiano, le linee portanti dell’intervento normativo, che sembrerebbe incentrate principalmente sulla pubblicazione di nomi e volti di chi insulta sul web.

Cosi almeno traspare dal titolo e dal testo della lettera. 

Gli articoli della proposta non sono ancora disponibili sul sito della Camera, ma il DDL è stato effettivamente presentato, dal momento che l’atto ha già un numero ed un titolo, ovvero: “Atto Camera: 2049, Proposta di legge: MORETTI ed altri: “Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, e al codice penale, in materia di tutela della dignità personale nella rete internet” (2049) 

Peccato non siano disponibili  gli articoli del disegno di legge, perché sarebbe utile comprendere quali siano i principi giuridici alla base di tale norma.

Va ricordato che è attualmente in discussione al Senato la riforma della diffamazione e, francamente appare difficile comprendere come possano conciliarsi i profili di attenuazione delle sanzioni carcerarie alla base della riforma  con una disciplina più severa delle affermazioni sul web. 

La stessa Moretti  ha peraltro delineato lo scenario in cui il legislatore dovrebbe muoversi. Innanzitutto la Moretti ha ritenuto di voler precisare che occorre “mostrare le facce e i volti di chi pensa di intimidirci con offese sessiste”. Questo “perché la rete è ancora regno di un’archeologia che chiamerei Machista”.

La deputata ha poi aggiunto “ Denunciamo pubblicamente quelle persone che passano il tempo ad inquinare uno spazio che dovrebbe essere di tutti, ma che al momento è solo di chi ha la voce più grossa ( e di timbro maschile)”. Ha poi aggiunto: “si è fin troppo tutelati contro la diffamazione sui giornali on line e per nulla in quella terra di nessuno che sono i social network”.
“Occorre che i provider inizino un processo di responsabilizzazione dei contenuti”, analogo a quello che è avvenuto, sono sempre parole dalla Moretti, con la pedopornografia.

 La lettera termina con una esortazione “ In alto gli Ipad”, facciamo vedere le facce di chi cerca di intimidirci, limitando la nostra libertà personale.
Fin qui le parole di Alessandra Moretti.

Capisco il dissidio della deputata, che può sentirsi offesa come donna e come parlamentare, dovremmo però ricordarci che, al di là della giusta tutela delle vittime, molto spesso la disciplina della diffamazione, quando il diffamato è una personaggio pubblico, sconta anche  la volontà di intimidire di chi la “brandisce come un maglio”, molto spesso nei confronti dei giornalisti.

Siamo sicuri che la pubblicazione sul web dei nomi e dei volti di chi utilizza affermazioni improprie siano la giusta soluzione?
Oppure l’indicazione di un “mostro” sul web può diventare la “foglia di fico” di una volontà di reprimere un dissenso che mal si tollera?

Prima di effettuare affermazioni sulla necessità di reprimere il web sarebbe forse utile rileggere e rivedere con attenzione ciò che accade nei palazzi del potere e nei talk show, ove i volti e le urla, vengono mostrati eccome, senza però che nessuno abbia da obiettare. 

Cominciamo da lì a tutelare anche e soprattutto la dignità personale dei cittadini.

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