Le proposte di condono tombale sulle bonifiche stanno giustamente innescando una reazione di associazioni, partiti politici e amministratori che pretendono il rispetto del principio “Chi inquina paga”, che è uno dei fondamenti del diritto ambientale comunitario.

Si paventano conseguenze grottesche: i cittadini rischiano di pagare sia le bonifiche, al posto degli inquinatori, sia le multe che ci arriveranno dall’Ue, a causa di una classe politica compiacente che in vent’anni non è stata capace di affrontare una situazione drammatica.

L’aria che tira in questo Paese però, non è nuova. Come denunciato dal rapporto “Sin Italy” di Greenpeace a ottobre 2011 la porta a quest’opzione era stata spalancata dall’articolo 2 della Legge n.13/2009 che ha introdotto una procedura alternativa di risoluzione stragiudiziale del contenzioso relativo alle procedure di rimborso delle spese di bonifica e ripristino di aree contaminate e al risarcimento del danno ambientale. Il decreto Destinazione Italia è giusto il passettino che mancava, ampiamente previsto e prevedibile.

Il  rapporto di Greenpeace fa anche il nome del maggior “utilizzatore finale” del condono: Eni. La controllata di Eni, Syndial (ex Enichem), ha “vertenze” sulle bonifiche nei siti di Porto Torres, Priolo, Napoli Orientale, Brindisi, Pieve Vergonte, Cengio, Crotone, Mantova e Gela. Risulta che nel 2010 il gruppo ha stanziato per le “transazioni” 1 miliardo e 109 milioni di euro. Solo la bonifica di Porto Tolle ha una stima di costi dell’ordine di 500 milioni. Per fare un esempio delle cifre in ballo, nel luglio 2008 il Tribunale di Torino ha condannato la società Syndial al pagamento di una multa di circa 1,9 miliardi di euro per aver inquinato il Lago Maggiore col Ddt nel periodo 1990–1996. Il Ministero dell’Ambiente aveva richiesto un risarcimento di 2,396 miliardi e Eni (che nel 2006 aveva rifiutato una proposta di transazione per 239 milioni di euro fatta dall’Avvocatura dello Stato) ha immediatamente fatto appello, considerando la multa spropositata.

I condoni sono comunque solo uno degli aspetti più vergognosi delle bonifiche italiane. Il principale forse è l’emergenza continua, dovuta anche alla “misteriosa” sparizione dei fondi a suo tempo stanziati. A seguito della Delibera CIPE n. 166 del 21 dicembre 2007, nel marzo 2008 il il Ministero dello Sviluppo Economico presentava infatti un Progetto Strategico Speciale (PSS) – Programma straordinario nazionale per il recupero economico produttivo di siti industriali inquinati – con uno stanziamento complessivo di oltre 3 miliardi di euro che sono semplicemente spariti. Da qui il regime consueto dei commissariamenti che ci ha regalato perle come la “gestione” della bonifica dell’area ex Sisas di Pioltello-Rodano (Milano) che di recente ha registrato arresti a raffica (l’ex Commissario, amministratori e imprenditori). Arresti che confermano quanto a suo tempo denunciato da Greenpeace sullo “smaltimento” di 280.000 tonnellate di rifiuti di nerofumo, contaminate da mercurio, idrocarburi policiclici aromatici e ftalati accumulate nel corso di decenni.

E che dire della cancellazione del reato di “omessa bonifica”, abrogato e riformulato dall’art. 257 D.Lgs. n. 152/2006? Lasciamo la parola al Procuratore della Repubblica di Mantova, Antonino Condorelli, che alla Commissione bicamerale d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti ha detto: «…quando è stata modificata la norma sul reato di omessa bonifica – la Cassazione è tassativa sul punto e ci sono molte sentenze – è stato eliminato il reato di non partecipazione al procedimento di bonifica. Senza un progetto approvato, quindi, il responsabile che si rifiuti di attuarlo non può essere sanzionato penalmente. Mentre prima al primo atto di procedimento rifiutato si ravvisava la responsabilità penale e quindi ci era possibile intervenire, oggi non è più così.»

La via per uscire dall’emergenza bonifiche è difficile, ma si tratta di una strada obbligata: le vittime di questi terreni, fiumi, laghi avvelenati sono migliaia, come ha segnalato il Progetto Sentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) con una collaborazione tra esperti dell’Istituto Superiore della Sanità, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Chiediamo il ripristino del reato di omessa bonifica e chiediamo di chiudere la stagione dei commissariamenti, consentendo alle rappresentanze dei cittadini, ai sindacati e alle associazioni ambientaliste la partecipazione al confronto sul tema bonifiche.

Oltre a rigettare ogni ipotesi di condono e transazione stragiudiziale, ci vuole certezza sulle risorse finanziarie assegnate al Piano nazionale bonifiche, sia da parte del Governo, sia dalle imprese interessate. E, soprattutto, serve che il Piano preveda nuovi investimenti produttivi e nuove infrastrutture con elevati standard di sostenibilità ambientale (per abbattere le emissioni inquinanti e prevenire la generazione di rifiuti), misure e programmi per l’efficienza e il risparmio energetico e la produzione di energia da fonti rinnovabili. In particolare, questi siti derelitti devono diventare un’occasione per sviluppare attività di ricerca e sistemi di monitoraggio e controllo della qualità ambientale, anche e soprattutto con l’obiettivo di accertare gli effetti pregressi della contaminazione ambientale e prevenire gli impatti futuri sulla salute dei cittadini.

Enigate

di Claudio Gatti 15€ Acquista
Articolo Precedente

Visoni e pellicce, gli allevamenti italiani non sono diversi da quelli cinesi

next
Articolo Successivo

Terra dei fuochi, i campi coltivati tra le bombe ecologiche dei Casalesi

next